Avv. Francesco Pandolfi
Ancora una sentenza in materia di responsabilità sanitaria. Questa volta siamo in tema di intervento chirurgico di endoaneurismectomia e di innesto protesico aortobimefemorale effettuato presso una unita' operativa chirurgica vascolare.
La paziente aveva subito gravi conseguenze a seguito dell'intervento per l'insorgenza di complicanze trombosiche a carico dell'arteria femorale sinistra. Nell'ora successiva all'intervento, era stata sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico ma ciò non aveva potuto evitare la paralisi agli arti inferiori.
A sostegno della richiesta risarcitoria, la donna aveva evidenziato sin dal primo grado del giudizio che l'operato dei medici era stato caratterizzato da plurime negligenze, sia per non averla informata sul rischio del manifestarsi della complicanza della paraplegia come conseguenza dell'intervento chirurgico, sia perche' non era stata sottoposta a terapia di farmaci eparinosimili, idonea a ridurre l'incidenza di fenomeni trombotici a carico dell'albero vascolare pelvico.
In un primo momento, il Tribunale aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni; ma in appello il verdetto veniva ribaltato e, accertata la responsabilità dell'Azienda Ospedaliera, veniva riconosciuto alla paziente il diritto al risarcimento dei danni liquidati in complessivi euro 571.374,00.
Sul ricorso dell'Azienda Ospedaliera il caso finiva dinanzi alla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 3390/2015 (qui sotto allegata), confermava la condanna risarcitoria.
Il giudice d'appello, infatti, aveva correttamente osservato, che sulla base di quanto emerso dalla consulenza tecnica d'ufficio si era evidenziato, tra le altre cose:
1. che l'insorgenza di una paraplegia "dopo interventi per aneurisma dell'aorta sottorenale" era "una complicanza nota, descritta e studiata nella letteratura scientifica", ma per molti aspetti non ancora integralmente chiarita, avendo una genesi "probabilmente multifattoriale";
2. che dalla letteratura scientifica emergeva che "la somministrazione eparinica costituiva "un trattamento che puo' rientrare tra i fattori in grado di ridurre il rischio di insorgenza della complicanza di paraplegia", sebbene "in alcune casistiche" tale dato era "chiaramente contraddetto";
3. che "molti consensi di esperti, giudizi emergenti a volte nella letteratura e, addirittura motivi di medicina difensiva supportati solo dal bisogno di evitare conflitti e decisioni approssimative in sede giudiziaria, indicano di eseguire comunque il trattamento eparinico pur senza un corrispettivo scientifico assodato";
4. che i sanitari non hanno seguito i suggerimenti che si rinvengono in letteratura pur nella consapevolezza che l'adesione agli stessi non garantisce una esclusione o una riduzione scientificamente comprovata del rischio della complicanza.
In tale contesto, il giudice ha quindi correttamente affermato che, dall'operatore medico, era esigibile un comportamento uniformato alla pratica del trattamento eparinico preventivo, osservando che la somministrazione di eparina sistemica per ridurre il rischio di embolizzazione arteriosa era raccomandazione di cautela.
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Cassazione Civile, testo sentenza 3390/2015