Avv. Luigi Galluccio - lgalluccio@hotmail.it
La Suprema Corte, con la sentenza n. 152/2015, ha esaminato il ricorso contro il licenziamento inflitto da Poste Italiane S.p.A. ad un direttore di un ufficio postale per aver effettuato numerosi prelievi da un libretto di risparmio, intestato a due coniugi anziani e ricoverati presso una casa di riposo, pur non avendo alcuna delega ed anche adoperando modalità illecite quali la falsa sottoscrizione.
Il ricorrente, già soccombente in primo grado ed in appello, lamentava con il primo motivo vizio di motivazione in ordine alla tempestività della contestazione dell'addebito disciplinare, durata nel complesso circa sei mesi. Sul punto la Corte di Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte di merito, dichiara non fondato il motivo spiegando come la durata delle indagini è coerente con la complessità delle indagini effettuate, costituite dal controllo di numerose scritture contabili.
Invero, la giurisprudenza ha più volte chiarito che la tempestività della contestazione dell'addebito va intesa in senso relativo, ossia tenendo presenti le ragioni oggettive che possono ritardare o rendere più difficoltoso o ritardare l'accertamento della violazione, soprattutto quando, come in questo caso, il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un'unica condotta, esigono una valutazione ordinaria, sicché l'intimazione del licenziamento può seguire l'ultimo di questi fatti, anche a una certa distanza temporale da quelli precedenti (Cass. n.25136/2010).
Con il secondo motivo il ricorrente lamentava la mancata indicazione, sia nel capo d'incolpazione sia nella sentenza impugnata, delle norme da lui violate ed inoltre, l'omessa considerazione dell'autorizzazione a prelevare da parte della cointestataria del libretto postale. Anche tale motivo, secondo la Suprema Corte, non ha fondamento. La palese e grave illiceità della condotta tenuta dal direttore rende, infatti, "irrilevante la precisa evocazione delle norme regolamentari violate", mentre l'autorizzazione verbale al prelievo ha come unica conseguenza quella di "attenuare leggermente l'illecito".
Gli Ermellini concludono confermando la sanzione espulsiva comminata al direttore dalle Poste Italiane S.p.A., in quanto per la delicatezza della funzione svolta dal direttore dell'ufficio postale è necessario un vincolo di fiducia con la società datrice di lavoro, che deve ritenersi interrotto dalla condotta di cui sopra.
Avv. Luigi Galluccio - lgalluccio@hotmail.it
Cassazione civile, sez. lavoro, testo sentenza 09.01.2015 n. 152