di Marina Crisafi - Prima nasconde alla moglie di essere alcolista e infertile, poi blocca, a sua insaputa, il ciclo di procreazione assistita cui la stessa si era sottoposta per avere un figlio. Tanto basta per minare alle fondamenta il rapporto e, conseguentemente, addebitare al marito la separazione. Lo ha deciso la Cassazione, con la recente sentenza n. 7132 del 9 aprile 2015, accogliendo il ricorso di una donna che, vedendo frustrata ogni propria aspettativa a causa del comportamento dell'ex marito aveva optato, infine, per la separazione.
Ribaltando il verdetto del giudice d'appello che aveva negato l'esistenza di un nesso causale tra la crisi e il mancato rispetto degli impegni, la S.C. ha ritenuto che il comportamento dell'uomo era stato tale da far venir meno i doveri di lealtà verso il coniuge.
È vero, infatti, che il matrimonio aveva retto sul piano affettivo anche dopo che la moglie era venuta a conoscenza della dipendenza dall'alcol e dell'infertilità del marito, e che il rapporto era andato avanti anche dopo la scelta unilaterale dello stesso di mettere da parte il progetto di procreazione intrapreso insieme, dopo che la donna si era sottoposta a diverse terapie invasive, ma è proprio il prolungarsi di queste condotte, senza neanche tentare di porvi rimedio, a costituire una giusta causa per l'addebito.
Per i giudici della prima sezione civile della Cassazione sbaglia, dunque, la corte d'appello di Firenze ad esaminare separatamente il profilo dell'infertilità e dell'interruzione del progetto procreativo assistito, omettendo di considerare "che entrambe compongono un quadro di violazione del tutto unilaterale della fiducia nella lealtà dell'altro coniuge che caratterizza la comunione spirituale e materiale posta a base dell'affectio coniugalis". L'aver valorizzato esclusivamente la mancanza di consequenzialità cronologica tra la contestata condotta d'interruzione del progetto di procreazione all'insaputa della moglie e la domanda di separazione ha condotto, difatti, la corte territoriale ad omettere di considerare che da parte del marito, prima nel non rivelare di essere infertile e successivamente nel non condividere con la moglie l'accettazione della terapia "assistita", c'è stata "una costante violazione dell'obbligo di lealtà reciproca che caratterizza, non soltanto con riferimento alla sfera sessuale, la comunione affettiva posta a base del vincolo coniugale". Per cui la frustrazione conseguente alla reiterata mancata conferma dell'affidamento riposto sull'osservanza degli impegni reciproci assunti da entrambi i coniugi "è del tutto idonea a costituire la causa dell'impossibilità di proseguire nel rapporto matrimoniale". Medesima la frustrazione, secondo la S.C., anche sulla non confessata dipendenza dall'alcool, anzi rafforzata dopo le cure e l'assistenza prestate dalla moglie. Anche qui è errato, il ragionamento seguito dal giudice di merito, che l'ha considerata una "grave infermità" che comportava per la moglie un obbligo di assistenza solidaristica tale da potersi profilare l'addebito della separazione soltanto a carico di chi a tale obbligo si sottragga. Per gli Ermellini, la dipendenza da alcool o droghe infatti non può equipararsi integralmente ad una patologia sulla quale non interferisce la volontà o l'impegno del paziente, ma al contrario ad una patologia superabile "esclusivamente mediante la partecipazione e l'autodeterminazione del soggetto che ne è colpito".
Pertanto, anche sotto questo profilo, la violazione del dovere solidale di lealtà e condivisione del progetto di vita in comune è stata duplice, essendo consistita "sia nell'aver tenuta nascosta tale dipendenza e successivamente nell'aver interrotto il percorso di superamento e recupero intrapreso anche grazie all'assistenza e collaborazione della moglie".
In definitiva, ha concluso la S.C. accogliendo il ricorso, la pronuncia di addebito non può fondarsi soltanto sulla violazione dei doveri coniugali ma anche con riferimento alla violazione del dovere di lealtà che, come nel caso di specie, data la condotta continuativa e le scelte unilaterali e non condivise del coniuge, è in grado di minare "il nucleo imprescindibile di fiducia reciproca che deve caratterizzare il vincolo coniugale".