Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 dicembre 2014 - 9 aprile 2015, n. 14247

"Quanto al medico che operi in regime di "intramoenia", va ricordato che il rapporto instauratosi tra medico e paziente è di natura pubblicistica quando il secondo si rivolge al primo non per ragioni professionali, che riguardino lo specifico professionista, ma alla struttura ospedaliera nell'ambito della quale il sanitario opera, con la conseguenza che, (…) è procedibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 609-septies, comma quarto, n. 3, cod. pen., il reato di violenza sessuale commesso all'interno della struttura sanitaria ai danni di una paziente da un medico ospedaliero".

Il caso quest'oggi sottoposto al vaglio della Suprema Corte di Cassazione e sfociato nella sentenza in commento, ha ad oggetto un' ipotesi di violenza sessuale commessa da un medico ospedaliero ai danni di alcuni pazienti in cura presso la struttura sanitaria ove lo stesso effettuava la propria prestazione lavorativa.

Nella specie, si contestava, facendo espressmente riferimento agli articoli 609 bis, commi 1 e 2, 609 ter, comma 1 n. 3, c.p., che l'imputato, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso costringeva mediante abuso di autorità o comunque induceva - in determinati casi ed anche in distinte occasioni alcuni pazienti della struttura sanitaria medesima- a subire atti sessuali anche abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica al momento del fatto nel quale versavano le persone offese e commettendo i fatti anche nella rivestita qualità di medico specialista, e quindi quale incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni.

Un dato occorre preliminarmente esaminare. Il problema della procedibilità in ordine al reato di cui ai capi in contestazione.

Punto caldo in tema di reati sessuali è, infatti, proprio la loro procedibilità. La perseguibilità d'ufficio è considerata legata all'interesse pubblico alla moralità pubblica, ormai incompatibile con la nuova concezione dei reati sessuali post-riforma 1996, che li pone a tutela della libertà individuale, la quale sembra maggiormente ricollegabile alla procedibilità a querela.

Nella disciplina vigente, precedente alle modifiche introdotte con la L. 15 febbraio 199 m. 66, l'art. 542 c.p., si prevedeva che i reati in materia sessuale fossero tutti procedibili a querela

di parte, con duplice eccezione disciplinata dal comma 3, ossia: 1) per le ipotesi in cui il fatto fosse commesso dal genitore o dal tutore ovvero da persona che riveste la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio; 2) per le ipotesi ove il fatto fosse connesso ad altro costituente reato procedibile d'ufficio.

Senonché, la giurisprudenza formatasi in relazione a siffatta disciplina, con riferimento alla procedibilità d'ufficio nella ipotesi di reato commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, aveva dato luogo a due differenti orientamenti interpretativi. Secondo una interpretazione più restrittiva la procedibilità d'ufficio doveva essere limitata alle sole condotte criminose commesse durante o a causa dell'esercizio delle funzioni pubblicistiche (Sez. III Pen., n. 3850/ 1997 Di Mita, Rv. 208204), o abusando dei poteri o violando i doveri inerenti al pubblico servizio, cioè quando fosse applicabile l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 9 (Cass., Sez. III, 23.11.1973,Giuranna). Secondo una diversa interpretazione più elastica, invece, non era necessario che la condotta fosse posta in essere durante o a causa dell'esercizio delle funzioni pubblicistiche, essendo sufficiente che la qualifica personale dell'agente avesse una relazione diretta col reato e si ponesse come elemento significativo per la sua commissione (ex multis Cass. Sez., III, n. 280 del 4.10.1978, Zani, Rv 140754). Più di recente, ma sempre con riferimento all'art. 542 c.p.p. (abrogato) è stato affermato che "In tema di reati sessuali, a qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di pubblico servizio assume rilevanza ai fini della procedibilità d'ufficio (art. 609 septies c.p., comma 4 n. 3) solo nei casi in cui tale qualità si ponga in relazione diretta con la condotta criminosa, ciò che si verifica quando il reato è commesso nell'esercizio delle funzioni pubblicistoche ovvero quando, pur collocandosi il comportamento criminoso fuori dall'esercizio di tali funzioni, tale qualità abbia agevolato in modo diretto la commissione del reato" (Cass., Pen., Sez. III, n. 45064 del 19.9.2008, Parenza).

La L. 15 febbraio 1996,n. 66, nell'abrogare l'art. 542 c.p., ha previsto all'art. 609 septies c.p., comma 4, n. 3,la procedibilità d'ufficio "se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni".

Dal raffronto tra le due disposizioni emerge, dunque con tutta evidenza che il legislatore non ha ritenuto più sufficiente, per la procedibilità d'ufficio, che il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (art. 542 c.p. abrogato), ma da costoro "nell'esercizio delle funzioni" (art. 609 septies). È imprescindibile, cioè, il collegamento tra le condotte illecite e le funzioni, anche se non è necessario l'abuso delle funzioni medesime. (PARZIALE, BARTOLUCCI).

Si è così ritenuto che "La procedibilità d'ufficio del delitto di violenza sessuale commesso dall'incaricato di pubblico servizio non richiede l'abuso delle funzioni pubblicistiche svolte, in quanto ai fini della configurabilità dell'ipotesi prevista dall'art. 609 septies c.p., comma 3, n. , è sufficiente il semplice collegamento tra le condotte illecite e le predette funzioni" (Cass., Sez. III. n. 43235 del 13.10.2010).

Non solo. Si è altresì, affermato - sentenza quest'ultima ripresa, peraltro, dai giudici della Corte nella sentenza de quo - che "è anche procedibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 609 septies c.p., comma 3, n. 3, il reato di violenza sessuale commesso all'interno della struttura sanitaria ai danni di una paziente da un medico ospedaliero, rimanendo irrilevante che questi, per il rapporto di fiducia instauratosi con la paziente abbia fissato le visite senza seguire il normale iter burocratico per l'accettazione, in quanto tale circostanza non modifica la natura pubblicistica del rapporto intercorso tra medico e vittima" (Cass., Pen., Sez. III, n. 28839 del 28.5.2008).

Ebbene, quanto al caso in esame, gli stessi giudici di merito avevano riconosciuto non solo che l'imputato avesse abusato delle sue funzioni per commettere gli abusi sessuali in danno dei propri pazienti, ma anche il collegamento tra dette funzioni e la condotta illecita.

Già il Tribunale di primo grado, nel condannare il sanitario, aveva riconosciuto che vi era stata strumentalizzazione da parte dello stesso della propria qualifica (di incaricato di pubblico servizio) soggettiva al fine immediato di costringere o indurre alla prestazione sessuale i propri pazienti.

La Corte territoriale aveva, poi in sede di giudizio d'appello sottolineato ulteriormente che le condotte sessualmente significanti ebbero un proprio loro contesto, quello cioè della struttura sanitaria dove l'attività medica si svolgeva, e per tale ragione condannava il ricorrente alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione per i reati previsti dagli articoli 609 bis, commi 1 e 2, 609 ter, comma 1 n. 3, codice penale perché, "con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso costringeva mediante abuso di autorità e comunque induceva - in determinati casi ed anche in distinte occasioni i propri pazienti, - a subire atti sessuali anche abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica al momento del fatto nel quale versavano le persone offese e commettendo quindi, quale incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni".

Sennonché, avverso siffatta sentenza, la difesa proponeva ricorso per Cassazione, deducendo col primo motivo di impugnazione, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p. con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell'articolo 609 septies, comma 4 n. 4, c.p. in relazione agli articoli 12 e 371 c.p.p. con conseguente improcedibilità per tardività e/o inesistenza della querela relativamente ai fatti di reato commessi in danno delle persone offese, dolendosi del fatto che i giudici del merito avevano erroneamente ritenuto che il ricorrente rivestisse, per le funzioni esercitate all'interno dell'ospedale, in qualità di incaricato di pubblico servizio, laddove detta qualità non è attribuibile al medico che esegua le visite in regime cosiddetto intramoenia con la conseguenza che i reati contestati in relazione alle visite effettuate nei confronti delle parti offese suddette, dovevano ritenersi procedibili a querela, nella specie mai presentata. Né -a detta sempre del ricorrente - poteva ritenersi applicabile al caso di specie l'articolo 12 c.p.p. che non contempla la connessione tra reati a querela tardiva o inesistente e reati perseguibili d'ufficio, posto che la connessione che i giudici del merito avevano ritenuto applicabile è quella "speciale" di cui all'articolo 609 septies, comma 4 n. 4, del codice penale. Detta connessione - secondo la difesa - sussisterebbe però solo per i reati commessi a danno di una stessa parte offesa ed è definita quale "connessione apparente" oppure laddove siano soddisfatti i requisiti di cui all'articolo 371 del codice di procedura penale quale "connessione investigativa".

La Cassazione, tuttavia non ha avuto dubbi nel rigettare il ricorso così formulato e affermare quanto di seguito.

Condivisa appieno la ricostruzione operata di giudici di merito circa la il collegamento tra la funzione del medico e gli abusi sessuali perpetrati, la III Sezione, ha così dichiarato: "quanto al medico che operi in regime di "intramoenia", va ricordato che il rapporto instauratosi tra medico e paziente è di natura pubblicistica quando il secondo si rivolge al primo non per ragioni professionali, che riguardino lo specifico professionista, ma alla struttura ospedaliera nell'ambito della quale il sanitario opera, con la conseguenza che, a tal proposito, questa Corte ha già avuto modo di affermare che è procedibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 609-septies, comma quarto, n. 3, cod. pen., il reato di violenza sessuale commesso all'interno della struttura sanitaria ai danni di una paziente da un medico ospedaliero, rimanendo irrilevante che questi, per il rapporto di fiducia instauratosi con la paziente, abbia fissato le visite senza seguire il normale iter burocratico per l'accettazione, in quanto tale circostanza non modifica la natura pubblicistica del rapporto intercorso tra medico e vittima (Sez. 3, n. 28839 del 28/05/2008, Giuliano ed altro, Rv. 241010).

Fuori discussione, dunque, che il ricorrente agì nella qualità di medico ospedaliero, va poi ribadito che la procedibilità d'ufficio del delitto di violenza sessuale commesso dall'incaricato di pubblico servizio non richiede l'abuso delle funzioni pubblicistiche svolte, essendo sufficiente il semplice collegamento tra le condotte illecite e le predette funzioni (Sez. 3, n. 50299 del 18/09/2014, S., Rv. 261388).

Quanto poi alla contestazione relativa agli art. 12 e 371 c.p.p., la Cassazione ha espressamente ribadito che, in tema di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'art. 609 septies, comma quarto, n. 4 cod. pen. si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale (art. 12 cod. proc. pen.), ma anche quando v'è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'art. 371 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 2876 del 21/12/2006 (dep. 25/01/2007, P.G. in proc. Crudele, Rv. 236098).

Sul punto si veda anche Cass., Pen., Sez. I, n. 3394/1971 (sotto il vigore della precedente normativa):"Per la perseguibilità di un rato sessuale commesso con reato perseguibile di ufficio non è necessaria una connessione rigorosa ai sensi dell'art. 61, n. 2, c.p., essendo invece sufficiente un rapporto di occasionalità tra il reato perseguibile d'ufficio e quello perseguibile a querela, si che l'accertamento del primo porti a dovere indagare sulla commissione del secondo".

Ciò in altre parole a dire che la connessione ai fini della procedibilità d'ufficio in ordine ai delitti contro la libertà sessuale non postula un qualsiasi rapporto meramente esteriore o causale tra i due reati, ma va intesa come connessione in senso sostanziale. Essa deve ritenersi sussistente quando un reato sia stato commesso per eseguirne od occlutarne un altro o per conseguirne la impunità oppure in occasione di esso.

Secondo, infatti, costante giurisprudenza della Cassazione, ai fini della perseguibilità d'ufficio dei reati di violenza sessuale la connessione, di cui all'art. 609 septies, 4° co., n. 4, c.p., non è limitata alle ipotesi di connessione processuale di cui all'art. 12 c.p.p. Invece essa è estesa alla connessione meramente investigativa di cui all'art. 371, 2° co., c.p.p. ovvero alla presenza di reati commessi in occasione di altri reati, per eseguirne altri, quando la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza, nel senso che per l'accertamento del secondo l'indagine debba essere estesa necessariamente al primo o perché i due fatti sono stati perpetrati nello stesso contesto temporale o perché l'uno sia stato commesso per eseguire o occultare l'altro, o al fine di conseguire la impunità da questo (Cass., Pen., Sez. III, n. 4143/1998).

Si tratta - secondo gli ermellini - di un orientamento del tutto condivisibile e recentemente più volte ribadito dalla stessa Corte (Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. 22/01/2014, B., Rv. 258583), la quale ha precisato che i reati di violenza sessuale sono procedibili senza necessità di querela anche nell'ipotesi di collegamento investigativo rilevante a norma dell'art. 371, comma secondo, cod. proc. pen. con altra fattispecie procedibile di ufficio, sul rilievo che "la ragione della perseguibilità d'ufficio dei delitti contro la libertà sessuale non risiede nel disinteresse dello Stato al perseguimento degli stessi, ma nella necessità di bilanciare l'esigenza del perseguimento dei colpevoli con l'esigenza della riservatezza delle persone offese, data la particolarissima natura di tali reati, in relazione ai molteplici contesti socioculturali nei quali gli stessi possono essere commessi. Tale esigenza viene meno proprio nel caso in cui le indagini su fatti perseguibili d'ufficio abbiano attinto alla riservatezza delle persone offese per connessi reati sessuali, nel caso in cui questi siano stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, ovvero - e questo è il caso più frequente - se la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza o se la prova di più reati deriva anche parzialmente dalla stessa fonte".

Ed è in tal senso che i giudici della III Sezione, confermata la sentenza della Corte territoriale, rigettavano il ricorso, condannando l'imputato al pagamento delle spese processuali tutte.

Dott.ssa Sabrina Caporale - sabrinacaporale87@gmail.com - tel. 329/3837427
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