di Marina Crisafi - Rimane valido il matrimonio se uno dei due coniugi cambia sesso almeno finché il legislatore non interverrà disciplinando una forma alternativa di unione civile.
Così la prima sezione civile della Cassazione, con sentenza n. 8097 pubblicata ieri, bacchettando il legislatore italiano, si è pronunciata accogliendo il ricorso di una coppia che chiedeva la cancellazione dell'annotazione, a margine dell'atto di matrimonio, con la quale, a seguito della rettifica di sesso da parte del marito, si dichiarava l'intervenuta cessazione degli effetti civili.
La vicenda aveva inizio presso il tribunale di Modena che accoglieva l'istanza dei due coniugi, la quale però veniva rigettata in Corte d'Appello su reclamo del Ministero dell'Interno. I due, però, non si scoraggiavano e adivano pertanto la Cassazione per sentir dichiarare le proprie ragioni.
A ben vedere, perché il Palazzaccio ha ritenuto fondate le istanze.
E lo ha fatto richiamando i principi dettati dalla Consulta, nella nota sentenza n. 170/2014 che aveva ritenuto incostituzionali gli artt. 2 e 4 della legge n. 164/1982, per violazione dell'art. 2 della Costituzione
posto a tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi i coniugi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima.In particolare, secondo la Corte Costituzionale "non può essere così radicalmente sacrificato l'interesse della coppia a conservare la propria unione che costituisce, anche dopo il cambiamento di sesso, una relazione senz'altro qualificabile come formazione sociale protetta dall'art. 2 Cost., senza che l'esercizio della libertà di scelta di uno dei due componenti della coppia medesima possa determinare l'eliminazione della dimensione giuridica del preesistente rapporto, non potendosi passare da uno stato di massima protezione giuridica ad uno stato di massima indeterminatezza".
All'epoca la Corte Costituzionale aveva escluso quale rimedio la sostituzione del "divorzio automatico" (senza necessità di pronuncia giudiziale) con quello "a domanda", perché ciò equivaleva a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti dello stesso sesso, in violazione del parametro dell'art., 29 della Cost. che limita il modello del matrimonio alle coppie eterosessuali.
Aveva invece imposto al legislatore di introdurre, "con la massima sollecitudine", una forma alternativa di unione, anche non matrimoniale, che potesse colmare il vuoto normativo creato dalla decadenza automatica del matrimonio, superando così "l'attuale condizione di illegittimità della disciplina in esame per il profilo dell'attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti".
Necessità ribadita ora dalla Cassazione che invita il legislatore a dare una risposta immediata, secondo la via tracciata dalla Consulta, per colmare il deficit di tutela "ritenuto incostituzionalmente intollerabile, costituito dalla mancanza di un modello di relazione tra persone dello stesso sesso all'interno del quale far confluire le unioni matrimoniali contratte originariamente da persone di sesso diverso, divenute, mediante la rettificazione del sesso di uno dei due componenti, del medesimo sesso".
Perché è questo di cui si tratta, ha tenuto a sottolineare la Cassazione, una fattispecie che non riguarda una relazione di fatto, seppur costituzionalmente protetta, ma il rapporto tra due soggetti già uniti (legittimamente) dal vincolo del matrimonio, ai quali il legislatore deve trovare il modo di consentire "di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi".
Nel frattempo, ritenendo la pronuncia della Consulta, pur essendo "additiva di principio", "autoapplicativa" e non meramente dichiarativa, la S.C. ha accolto la richiesta dei due coniugi di eliminare dall'atto di matrimonio la nota sulla cessazione degli effetti civili, permettendo così ad entrambi, pur essendo dello stesso sesso, di rimanere a tutti gli effetti marito e moglie, almeno fino a quando non entrerà in vigore la disciplina normativa conseguente che trasformerà il vincolo matrimoniale in unione registrata.
Una soluzione "a tempo", dunque, che non determina assolutamente, ha chiaramente sottolineato la Cassazione "l'estensione del modello di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive", ma ineludibile data la condizione di assenza radicale di tutela in cui i due coniugi verrebbero a trovarsi.
Non vi è chi non vede, tuttavia, (e non a torto) un'apertura decisiva verso la disciplina sulle unioni civili.