E' regola generale quella per cui sia a carico del datore di lavoro, esercente attività insalubre di raccolta e smaltimento dei rifiuti, l'onere di provvedere alla pulizia degli indumenti del personale dipendente, non potendo la stessa essere derogata nemmeno dalla disciplina collettiva, né tanto meno da patti individuali.
Nel caso di specie il giudice d'appello, riformando una sentenza di primo di grado, ha accolto la domanda promossa da un gruppo di lavoratori, ai quali il datore aveva imposto la pulizia del vestiario, seppure dietro pagamento di una piccola indennità giornaliera.
Quando il caso è finito in Cassazione anche gli Ermellini hanno dato ragione ai lavoratori.
Il principio di diritto espresso dalla Suprema corte è il seguente: "l'idoneità degli strumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori - a norma dell'art. 379 del d.p.r. 457/1955 fino alla data di entrata in vigore del d. lgs. 626/1994 (…) deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa.
Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 Cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l'insorgenza e il diffondersi di infezioni. Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell'obbligo previsto dalle citate disposizioni".
Dall'inadempimento di tale obbligo deriva il legittimo diritto al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 1218 codice civile, ai lavoratori, per contrasto con norme imperative.
Cassazione Civile, testo sentenza 8585/2015