di Marina Crisafi - L'eventuale omosessualità del coniuge non è una buona ragione per addebitare la separazione, costituendo anzi un motivo in più di intollerabilità della convivenza. Lo ha stabilito la Cassazione, con sentenza n. 8713 depositata ieri, rigettando il ricorso di un uomo che si opponeva al pagamento dell'assegno di mantenimento nei confronti dell'ex moglie invocando l'addebito della separazione per la violazione dei doveri coniugali, in quanto la stessa, stanca di "comportarsi da moglie fedele e da madre" aveva abbandonato il tetto coniugale, preferendo "accompagnarsi con altre donne con cui intratteneva relazioni omosessuali".
Forte della decisione del giudice di prime cure che gli aveva dato ragione, l'uomo ricorreva in Cassazione impugnando la sentenza della corte d'appello che aveva invece escluso l'addebito nei confronti della signora e disposto l'assegno di mantenimento a carico del marito in quanto la stessa era una domestica "in nero", priva di redditi adeguati.
Ma la Cassazione ha confermato la decisione della corte territoriale, ricordando preliminarmente che con la riforma del diritto di famiglia del 1975 la separazione è stata svincolata dal presupposto di colpa di uno dei coniugi, essendo consentita invece, tutte le volte che si verificano "anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza". Per cui, riaffermando che il diritto alla separazione è fondato su fatti che nella coscienza sociale e nella comune percezione rendano intollerabile proseguimento della vita coniugale, la S.C. ha ribadito che, nella doverosa visione evolutiva del matrimonio, la frattura può dipendere "dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale anche di uno solo dei due coniugi".
E dunque, laddove tale situazione si verifichi, costituisce esercizio di un diritto e non può certo costituire ragione di addebito.
Tornando al caso di specie, quindi il Palazzaccio ha ritenuto ampiamente motivato l'accertamento della situazione di intollerabilità della convivenza per la moglie da parte della corte territoriale, provata anche dalla profonda depressione che aveva condotto la donna addirittura a tentare il suicidio.
Quanto all'asserita omosessualità, infine, hanno deciso i giudici di legittimità, anche quand'anche rispondesse al vero, non sposterebbe di una virgola i termini della questione, "attesa la ancor maggiore evidenza dell'intollerabilità della convivenza matrimoniale per una persona omosessuale".
Cassazione Civile, testo sentenza 8713/2015