La Corte di Cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, n. 3 del Codice Civile nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, se nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Costituzione, sotto il profilo della limitazione del diritto di difesa e della ragionevolezza di tale limitazione. Secondo la Cassazione, nell'attuale realtà sociale la prova dell'adulterio della moglie nel periodo del concepimento può costituire per il marito una circostanza la cui dimostrazione è di fatto impossibile o estremamente difficile in un gran numero di casi (come lo sarebbe la dimostrazione di un singolo atto di infedeltà sessuale del marito) e d'altro canto, è dubbio che possa considerarsi ancora ragionevole una previsione legislativa che, a fini del disconoscimento della paternità, richiede la previa prova dell'adulterio della moglie, in presenza di un progresso scientifico che consente di ottenere direttamente (e quindi senza passare attraverso la dimostrazione dell'adulterio) una sicura esclusione della paternità che rappresenta l'obiettivo finale dell'azione in questione attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risultati la cui piena attendibilità è unanimemente riconosciuta. (Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 5 giugno 2004, n.10742: Azione di disconoscimento della paternità - Limiti posti alla prova con i test genetici - Prova dell'adulterio - Questione di legittimità costituzionale dell'articolo 235 Codice Civile - Limitazione del diritto di difesa e ragionevolezza di tale limitazione).
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