Sul telefonino, sul tablet, con facebook e twitter, tutti siamo social e tutti disponiamo di immagini altrui a portata di un click. Ma quanto siamo consapevoli dei rischi che ciò comporta?
Tutti sanno che la legge non ammette ignoranza, ma quando si è divertiti, entusiasti, o desiderosi di condividere qualcosa con gli amici, si possono fare scelte impulsive, senza pensare che queste potrebbe portare a spiacevoli conseguenze giuridiche.
Questo significa che è meglio non usare i social? Vediamo la disciplina di riferimento al fine di chiarire ciò che si può fare e ciò che, invece, può comportare delle responsabilità sul piano giuridico, di modo da potere usare i social consapevolmente.
Senza pretese di esaustivita, si vuole riassumere brevemente i punti salienti della normativa di riferimento, volta innanzitutto a dare la possibilità ad un soggetto di mantenere il proprio volto sconosciuto al pubblico, nel rispetto del diritto alla riservatezza sulla propria persona, nonchè a difendersi dall'eventuale utilizzo abusivo della propria immagine da parte di terzi.
Si evidenzia, quindi, come il diritto all'immagine si esplica principalmente nel divieto di esporre o pubblicare l'immagine altrui, o qualsiasi rappresentazione delle altrui sembianze, senza il consenso dell'interessato. Nel caso di minori, il consenso spetta ai genitori o comunque agli esercenti la patria potestà.
Sulle piattaforme web, solitamente, tale consenso viene dato in fase di registrazione, al momento dell'iscrizione. Dichiarando di essere proprietari delle immagini, dei video e di altri contenuti sul proprio profilo, si accetta che il materiale caricato o condiviso sulla piattaforma virtuale, venga poi dato in uso liberamente a chiunque, in conformità alla legge.
Ed è così che, cliccando "mi piace", aggiungendo "tag" o condividendo quanto nel proprio profilo personale, si rende pubblico ciò che è privato, comprese le proprie foto.
La disciplina relativa all'uso delle immagini altrui è contenuta principalmente nell'art. 10 del codice civile, il quale disciplina l'abuso del diritto all'immagine, nonchè nella legge n. 633/1941 e ss.mm., sulla protezione dei diritti d'autore, ove viene vietano la pubblicazione di immagini o video altrui, in mancanza di preventivo consenso, con riferimento a qualunque tipo di diffusione al pubblico, compresa la pubblicazione in internet o e sul proprio profilo in un social network.
Tale divieto di pubblicazione subisce, però, una deroga se trattasi di immagine di persona nota al pubblico o investita di una pubblica carica o se l'immagine si riferisce a fatti d'interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Il previo consenso non è necessario anche qualora le finalità di chi pubblica siano correlate a motivi di giustizia, polizia, scentifiche, culturali e didattiche.
Come bene chiarisce il codice civile, l'immagine altrui non può però essere esposta o messa in commercio, se l'esposizione reca pregiudio al decoro o alla reputazione del soggetto ritratto. In tale caso, l'autorità giudiziaria può essere adita dal diretto interessato nonchè dai prossimi congiunti, al fine della cessazione dell'abuso, ed eventualmente, del risarcimento del danno.
La pubblicazione dell'immagine altrui può costituire, inoltre, illecito trattamento dei dati personali, rilevante ai sensi del d.lgs n. 196/2003, e perciò essere punita con sanzioni amministrative anche molto elevate, nonchè costituire ipotesi di reato per la quale è prevista una pena detentiva.
Il danno che deriva al soggetto ritratto fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge può essere, quindi, di carattere patrimoniale o non patrimoniale.
In particolare, il danno patrimoniale consiste nel pregiudizio economico che la vittima abbia risentito dalla pubblicazione e di cui è in grado di fornire prova. La prova del danno spettarà al soggetto danneggiato, tuttavia, nell'impossibilità di calcolarne l'ammontare in misura precisa, questo potrà essere quantificato dal giudice in via equitativa1.
Invero, l'illecita pubblicazione dell'immagine altrui obbliga il responsabile, innanzitutto al risarcimento dei danni patrimoniali, in termini di pregiudizio economico arrecato al danneggiato per effetto della pubblicazione fuori dalle circostanza richieste ex lege2.
Ciò, in considerazione del fatto che ogni soggetto ha diritto esclusivo sulla propria immagine e di sfruttarla economicamente, perciò uno sfruttamento non autorizzato da parte di terzi, determina un'indebita appropriazione dei vantaggi che sarebbero spettati alla vittima. Il riconoscimento del danno patrimoniale permettere, così, alla vittima di riapprorpiarsi di quei vantaggi economici che gli sarebbero spettati fino dall'inizio.
Tuttavia, quando il danneggiato è soggetto non noto, spesso diventa complicato dimostrare specifiche voci di danno patrimoniale. In tale caso, egli potrà fare valere il proprio diritto leso, richiedendo una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto al fine di concedere la pubblicazione della propria immmagine: l'importo verrà così determinato in via equitativa, avuto anche riguardo al vantaggio economico presumibilmente conseguito dall'autore dell'illecita pubblicazione, in relazione alla diffusione del mezzo sul quale la pubblicazione è avvenuta, alle finalità perseguite e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione3.
Per quanto attiene al danno non patrimoniale, anche fuori dalle ipotesi in cui il terzo abbia agito per scopi di lucro, questo può essere comunque risarcito. Ciò avviene in tutti i casi previsti dalla legge ordinaria e, come chiarisce la Suprema Corte di Cassazione, secondo un'impostazione ormai consolidata nel tempo, in tutte le altre ipotesi di violazione dei diritti dell'individuo, costituzionalmente garantiti ai sensi dell'art. 2 della Costituzione.
Bene chiariscono, infatti, i giudici di legittimità, che la violazione di cui all'art. 10 c.c. nei suoi aspetti non patrimoniali, disciplina essenzialmente la violazione del diritto alla privacy della propria immagine, diritto costituzionalmente rilevante ed inviolabile della persona, avente natura non economica, per il quale la relativa lesione non presuppone la qualifica del fatto come reato4.
Si tenga, infine, conto del fatto che, la pubblicazione di un'immagine altrui, quantanque nei casi previsti dalla legge, e con il consenso dell'interessato, può sempre costituire illecito penalmente rilevante se lesiva dell'altrui reputazione, in pregiudizio all'opinione sociale dell'onore del soggetto danneggiato. In tale caso, si configura un'ipotesi di diffamazione a mezzo stampa, per la quale è prevista la pena della reclusione da sei mesi fino a tre anni, ovvero la multa fino a 2.065,00 Euro.
Tale forma di diffamazione può realizzarsi, anche attraverso la pubblicazione di fotografie, pure non accompagnate da scritti di valenza diffamatoria, nella misura in cui queste incidano sulla dignità personale, quale opinione pubblica dell'onore del soggetto nella comunità sociale di appartenenza 5.
Anche in tal'ultimo caso, attraverso la lesione della dignità personale del soggetto, si realizza la lesione di un diritto, il cui risarcimento è quantificabile in termini di danno morale, in via equitativa6 .
Avv. CHIARA VALENTE
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1. Sul punto si veda Cass. Civ., n. 19069/2006.
2. Trib. Milano, Sez. I, 30.04.2013.
3. Cass. Civ., n. 11353/2010; App. Roma, 6.06.2005.
4. Cass. Civ. n. 8827-8828 /2003, nonchè Cass.civ. n. 12433/2008.
5. Cass. Pen., n. 47452/2004, Cass. Pen. n. 3247/1995.
6. Trib. Milano, sez. I, 9.01.2004; si veda anche Trib.Roma 28.02.2003.
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