C'è davvero libertà di lasciare commenti negativi su Facebook? O forse no?
Prima di lasciarci andare a facili entusiasmi è meglio fare bene attenzione a ciò che si posta su Facebook come dimostra la vicenda di quattro cibernauti finiti sotto processo per aver lasciato commenti negativi su un articolo pubblicato su una rivista e apparso anche nel social network di Zuckerberg.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 20366 del 15 maggio 2015 qui sotto allegata) occupandosi del caso ha confermato il proscioglimento dei quattro autori dei commenti "incriminati" che però, si sono salvati "per le penne", ovvero per la genericità delle parole utilizzate.
L'accusa per diffamazione era partita perché i quattro indagati, traendo spunto da un articolo apparso un un quotidiano e pubblicato su Facebook avevano fatto commenti sprezzanti nei confronti dei giornalisti che lo avevano scritto.
Il giudice dell'udienza preliminare aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto ed aveva osservato che si trattava di post generici, in cui non erano menzionati gli articolisti e neppure il giornale in cui era apparso l'articolo. La genericità dei commenti non poteva dunque consentire di individuare persone come parti lese.
Su ricorso della Procura il caso finiva in Cassazione ma gli Ermellini hanno convalidato la decisione del giudice dell'udienza preliminare di assolvere gli imputati non potendosi considerare consumata la diffamazione in mancanza di "alcuna correlazione tra i commenti apparsi su Facebook e gli autori dell'articolo".
Cassazione Penale, testo sentenza 20366/2015