di Marina Crisafi - Patteggiamento soltanto se si restituisce il maltolto. È questa innanziuttto la conditio sine qua non per poter patteggiare la pena nei processi per i delitti contro la Pubblica Amministrazione introdotta dalla legge anticorruzione approvata ieri da Montecitorio (leggi: "Ok della Camera al Ddl anticorruzione: la riforma è legge").
Tra le tante modifiche apportate al testo, nel corso dei 797 giorni necessari per pervenire alla sua approvazione definitiva, quella della restituzione integrale del maltolto è uno dei pilastri della riforma, "refrain" e "cavallo di battaglia" pensato sin dall'inizio quale deterrente al patteggiamento "facile" pur di evitare il carcere in relazione ai reati dei c.d. "colletti bianchi".
A tal fine, l'art. 6 della legge licenziata ieri, introduce un nuovo comma 1-ter all'art. 444 c.p.p. che subordina "l'ammissibilità della richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato".
In sostanza, d'ora in poi chi si macchia di uno dei delitti di corruzione contro la P.A. non potrà più sperare di evitare il carcere senza collaborare attivamente, cominciando dal restituire ciò che ha sottratto allo Stato.
Ma non solo, senza aver prima restituito il maltolto, al condannato non verrà nemmeno concessa la sospensione condizionale della pena.
All'art. 165 c.p., infatti, viene aggiunto un nuovo quarto comma, che prevede espressamente che il funzionario corrotto per fruire della sospensione condizionale della pena, dovrà comunque versare allo Stato, a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla sua condotta, "una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito", fermo restando inoltre il diritto all'ulteriore eventuale risarcimento del danno.