di Marina Crisafi - Non si può offendere impunemente un collega davanti ai clienti e agli altri collaboratori senza subire conseguenze. Un comportamento simile legittima, infatti, la sanzione massima del licenziamento, in quanto trattasi di condotta contraria ai "doveri civici".
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza n. 10842/2015 qui sotto allegata), rigettando il ricorso di un dipendente che appellava la decisione della Corte d'Appello di L'Aquila, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Teramo, dolendosi dell'illegittimità del licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro a causa di un diverbio litigioso con un collega in presenza della clientela.
L'uomo adiva la Cassazione, sostenendo l'inattendibilità delle deposizioni che avevano confermato l'incolpazione, in quanto i testi erano dipendenti della controparte datoriale.
Ma per la sezione lavoro, ciò non basta a metterne in dubbio l'attendibilità e ha ragione la corte territoriale.
Per quanto riguarda la valutazione di proporzionalità, la Corte ravvisa la "giusta causa", motivata attraverso il riferimento a norme del contratto collettivo nazionale (nella specie, industrie del terziario e della distribuzione dei servizi), che "punivano la condotta del lavoratore contraria ai doveri civici e il diverbio litigioso seguito da vie di fatto, nocivo al normale esercizio dell'attività aziendale".
La condotta "ingiuriosa e aggressiva" addebitata, dunque, legittima il licenziamento del lavoratore e la condanna alle spese processuali.
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