La Grand Chamber (la Grande Camera della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo) decidendo sul caso Vincent Lambert e altri contro la Francia ha dato il via libera all'eutanasia passiva, ossia quella provocata attraverso l'interruzione di un trattamento necessario per la sopravvivenza.
Secondo la Grande Camera, le autorità interne, possono autorizzare la sospensione delle cure, senza per questo violare i loro doveri di tutela della vita sanciti dall'art. 2 CEDU.
La Corte fa anche notare che in assenza di leggi interne occorre tenere conto della pregressa volontà del paziente.
La decisione arriva a seguito del ricorso dei genitori di un 39enne francese che a seguito di un incidente stradale aveva riportato delle irreversibili lesioni cerebrali che lo avevano condotto a uno stato minimo di coscienza.
I due genitori si erano opposti a una pronuncia del Consiglio di Stato francese, che aveva considerato "accanimento terapeutico" lo sforzo di tenerlo in vita, sforzo che, nella fattispecie, era attuato attraverso un trattamento endovenoso di idratazione e nutrizione artificiale.
Secondo i medici, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di recupero e così la moglie di Vincent (insieme a chi lo aveva in cura) aveva chiesto l'autorizzazione a poter interrompere i trattamenti che lo tenevano in vita.
Inizialmente la Corte aveva bloccato, in via cautelare, il provvedimento del Consiglio di Stato francese ma aveva rimesso la lite alla Grand Chamber proprio per la delicatezza del caso.
Al fine di fare chiarezza è bene ricordare che non tutti considerano l'idratazione e l'alimentazione artificiale come un trattamento terapeutico.
Se lo si considera un trattamento terapeutico, occorre tenere conto del principio sancito dalla Convenzione di Oviedo (principio recepito anche dal codice di deontologia medica in Italia) secondo cui qualsiasi trattamento medico non può prescindere dal consenso informato del paziente e, se questi non è nelle condizioni di esprimere le sue volontà a causa della malattia, il consenso va chiesto a chi ne ha la legale rappresentanza. Si deve inoltre tenere conto di eventuali volontà espresse dal paziente quando aveva la piena facoltà di fare le proprie scelte.
Se l'idratazione e l'alimentazione artificiale non si considerano come trattamenti terapeutici, la questione diventa più complessa ma va detto che in Italia l'art. 53 del codice di deontologia medica (Rifiuto consapevole di nutrirsi) dispone che "Quando una persona rifiuta volontariamente di nutrirsi, il medico ha il dovere di informarla sulle gravi conseguenze che un digiuno protratto può comportare sulle sue condizioni di salute. Se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale nei confronti della medesima, pur continuando ad assisterla".
Anche in tal caso andrebbe chiarita la valenza di eventuali dichiarazioni anticipate di trattamento.
Qui sotto in allegato il comunicato stampa della Corte Europea (PDF in lingua inglese) e la sentenza (sempre in lingua inglese).
Testo in PDF del comunicato stampa in lingua ingleseIl testo in PDF della sentenza in lingua inglese