Dall'articolo 2106 c.c viene enucleato il principio di proporzionalità tra il comportamento disciplinarmente illecito del lavoratore e la sanzione
Giovanna Molteni
L'onere della prova in ordine alla legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo ovvero per giusta causa incombe sul datore di lavoro che è chiamato a fornire la prova del notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore licenziato per giustificato motivo soggettivo (quale fatto complesso alla cui valutazione deve concorrere anche l'apprezzamento degli aspetti concreti del fatto addebitato) ovvero la prova della sussistenza della ragione che non ha consentito la prosecuzione -neppure provvisoria- del rapporto di lavoro con il lavoratore licenziato per giusta causa.
Senonché l'articolo 3, comma 2, del D. Lgs. numero 23/2015 enuncia che, nel sanzionare il licenziamento disciplinare intimato a fronte della insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, deve rimanere estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento.
La norma recentemente introdotta non esclude, però, la forza precettiva dell'articolo 2106 c.c., quanto meno sotto il profilo della possibilità per il giudice di ricorrere alla valutazione di proporzionalità per la verifica di legittimità del licenziamento. Ne discende che anche in caso di insussistenza del fatto materiale il giudice potrà invocare la norma codicistica, pur non potendola utilizzare per adeguare la misura della sanzione del licenziamento ritenuto illegittimo, essendo tale profilo specificamente dettagliato dal D. Lgs. numero 23.
Il licenziamento disciplinare: il quadro normativo
Con il Decreto Legislativo numero 23 del 2015 disciplinante il contratto a tutele crescenti sono state introdotte nuove norme in tema di licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, in particolare per quanto attiene alle sanzioni, al regime probatorio e sotto il profilo della proporzionalità della sanzione.L'onere della prova in ordine alla legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo ovvero per giusta causa incombe sul datore di lavoro che è chiamato a fornire la prova del notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore licenziato per giustificato motivo soggettivo (quale fatto complesso alla cui valutazione deve concorrere anche l'apprezzamento degli aspetti concreti del fatto addebitato) ovvero la prova della sussistenza della ragione che non ha consentito la prosecuzione -neppure provvisoria- del rapporto di lavoro con il lavoratore licenziato per giusta causa.
Il principio di proporzionalità
Dall'articolo 2106 c.c viene enucleato il principio di proporzionalità tra il comportamento disciplinarmente illecito del lavoratore e la sanzione concretamente irrogata dal datore di lavoro.Senonché l'articolo 3, comma 2, del D. Lgs. numero 23/2015 enuncia che, nel sanzionare il licenziamento disciplinare intimato a fronte della insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, deve rimanere estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento.
La norma recentemente introdotta non esclude, però, la forza precettiva dell'articolo 2106 c.c., quanto meno sotto il profilo della possibilità per il giudice di ricorrere alla valutazione di proporzionalità per la verifica di legittimità del licenziamento. Ne discende che anche in caso di insussistenza del fatto materiale il giudice potrà invocare la norma codicistica, pur non potendola utilizzare per adeguare la misura della sanzione del licenziamento ritenuto illegittimo, essendo tale profilo specificamente dettagliato dal D. Lgs. numero 23.
L'elaborazione giurisprudenziale
Secondo una consolidata giurisprudenza formatasi prima dell'entrata in vigore del cosiddetto Jobs Act, la gravità degli addebiti disciplinari deve essere accertata verificando il rispetto della regola codicistica di proporzionalità della sanzione espulsiva. Tale accertamento è operato sulla base di una serie di elementi che non possono esaurirsi nelle dirette conseguenze meramente economiche prodotte al datore di lavoro dalla condotta contestata, ma "debbono riguardare sia il grado di responsabilità collegato alle mansioni affidate al lavoratore, sia le modalità della condotta, specie se rilevatrice di una particolare propensione alla trasgressione, sia l'incidenza dei fatti sulla permanenza del vincolo fiduciario che caratterizza lo specifico rapporto di lavoro".Altri articoli che potrebbero interessarti:
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