di Marina Crisafi - Da ieri, data dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015 (G.U. n. 144/2015) che contiene la nuova disciplina dei contratti di lavoro sancita dal Jobs Act, sono legge anche le nuove norme sul demansionamento che tanto hanno fatto discutere e non mancheranno di farlo anche in futuro.
Le regole sancite dal Governo in virtù della legge delega sulla riforma del lavoro (l. n. 183/2014) mettono, infatti, nelle mani dei datori di lavoro un grandissimo potere: quello di poter cambiare unilateralmente e in piena autonomia le mansioni dei dipendenti, senza la necessità di accordi sindacali o apposite previsioni dei contratti collettivi, laddove siano in corso cambiamenti organizzativi.
Dopo aver fatto salvo, il principio secondo il quale "il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte", il nuovo art. 2103 c.c., già pienamente operativo, recita, infatti, che "in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale".
I soli limiti cui andrà incontro il datore di lavoro nell'operare il demansionamento saranno quelli di comunicare per iscritto il mutamento, a pena di nullità (e senza possibilità di scelta per il lavoratore, se vuole conservare il posto di lavoro), e della conservazione della retribuzione goduta, "fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa". Ciò significa che, ad esempio, se la vecchia mansione prevedeva trasferte o indennità varie che facevano lievitare la retribuzione, il lavoratore non ne avrà più diritto, assistendo quindi inerte alla diminuzione del proprio stipendio.
Il mutamento di mansioni, peraltro, può anche avvenire senza un'adeguata formazione perché l'obbligo è stabilito soltanto laddove necessario e il mancato adempimento non determina la nullità della nuova assegnazione.
Altre ipotesi di demansionamento, specifica la norma, possono essere previste anche dai contratti collettivi e tramite accordi individuali, stipulati "nelle sedi di cui all'art. 2113, quarto comma, c.c. o avanti alle commissioni di certificazione", prevedendo per il lavoratore soltanto il diritto di farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Per contro, invece, il lavoratore avrà diritto alla maggiore retribuzione derivante dall'assegnazione a mansioni superiori, che diventerà definitiva, a meno che non sia stata disposta per sostituire un collega.
Non si tratta, tuttavia, del classico "bastone e carota", perché anche la "carriera" nel ruolo diventerà più difficile, visto che il nuovo art. 2103 c.c. prevede che l'assegnazione diventa definitiva, "dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi", in luogo dei tre previsti sinora dall'art. 6 della l. n. 190/1985, abrogato dal decreto.
Ma c'è di più. L'art. 3 del decreto attuativo del Jobs Act legittima anche il trasferimento del lavoratore da un'unità produttiva all'altra, in caso di "comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive".
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