Se un automobilista finisce in una scarpata a causa della velocità elevata, non si può pretendere di addossare le responsabilità all'ANAS per il solo fatto che nella zona teatro del sinistro non sia presente una barriera protettiva.
E' quanto emerge da una sentenza della Corte di Cassazione (la n. 13187/15) che ha respinto le richieste risarcitorie dei familiari del conducente rimasto vittima del tragico incidente.
I familiari della vittima avevano chiesto all'ANAS il risarcimento del danno ritenendolo responsabile di quanto accaduto, per non aver installato un guard rail nella zona che fu teatro del sinistro.
Nel corso dell'istruttoria era però emerso che l'automobilista aveva perso il controllo dell'auto ed era precipitato nella scarpata. I giudici di merito avevano poi ritenuto che, data la dinamica dell'incidente, anche la presenza del guard rail non avrebbe impedito l'evento.
La domanda veniva quindi rigettata sia in primo grado sia in appello giacché i giudici avevano escluso che potesse esserci un nesso di causa tra l'omissione ascritta all'Anas e la morte della vittima.
I magistrati della Corte d'appello avevano anche affermato (erroneamente secondo la Suprema Corte) che la funzione del guardrail "non è quella di prevenire eventuali manovre scorrette degli automobilisti" e che comunque nel caso di specie "quand'anche fosse stato presente un guard rail, non vi era certezza che esso avrebbe evitato l'evento letale".
La Cassazione ha dato ragione all'Anas ma ha anche precisato che non appare logica l'affermazione "secondo cui il guard rail non ha lo scopo di prevenire i danni derivanti da condotte anomale degli utenti della strada". Tuttavia tale erronea affermazione non riveste carattere decisivo dato che la Corte d'appello ha "rigettato la domanda attorea sul presupposto dell'irrilevanza causale della condotta colposa ascritta all'ANAS".
In particolare, spiega la Cassazione, il giudice dell'appello ha ritenuto che anche l'eventuale esistenza di una barriera protettiva non avrebbe scongiurato l'evento.
Si badi bene la Corte non avalla la decisione nel merito, si limita solo ad affermare che si tratta di "una motivazione adeguata e non contraddittoria", con la conseguenza che è inammissibile "una nuova e diversa valutazione delle prove rispetto a quella compiuta dal giudice di merito".
Del resto - conclude la Corte - stabilire "se la decisione impugnata sia anche corretta nel merito è questione sottratta al perimetro dei poteri di questa Corte".
Qui sotto il testo integrale della sentenza.
Corte di Cassazione, testo sentenza del 26 giugno 2015, n. 13187