Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n.13692/2015 che ha confermato così una sentenza di merito che aveva anche condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno nei confronti della lavoratrice.
Il licenziamento era scattato subito dopo che il datore di lavoro, aveva scoperto lo stato interessante della dipendente, ed era stato intimato per giusta causa.
La Corte non solo ha confermato la nullità del licenziamento ma ha anche chiarito che non esiste alcun obbligo di informazione in questi casi. Anzi, un simile obbligo potrebbe compromettere la tutela prevista per le madri lavoratrici e sarebbe comunque contrario al principio della parità di trattamento "garantito costituzionalmente e riaffermato anche dalla normativa comunitaria (Direttive CEE n. 76/207 e 92/85)"
L'azienda a sostegno della legittimità del licenziamento aveva dedotto che il licenziamento era stato intimato anche "in considerazione della protratta e ingiustificata assenza della lavoratrice mentre nessuna comunicazione la stessa aveva dato del suo stato di gravidanza di cui il resistente" e che, inoltre, "la lavoratrice era stata assente per malattia e alla fine di tale periodo non si era presentata al lavoro senza fornire comunicazione alcuna".
La corte ha anche evidenziato che "Il licenziamento intimato alla lavoratrice dall'inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino in violazione dell'art. 2, secondo comma, legge n. 1204 del 1971, è affetto da nullità, a seguito della pronuncia della Corte Cost. n. 61 del 1991, ed è improduttivo di effetti, con la conseguenza che il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente e il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall'inadempimento, in ragione dal mancato guadagno"
Qui sotto il testo della sentenza.
Cassazione Civile, testo sentenza 13692/2015