Tanto attesa (più di un anno) dopo l'ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014, una sentenza deludente del Supremo Collegio Civile sul danno jure hereditatis
di Paolo M. Storani - Anche Omero, sottolineava Orazio nell'Ars Poetica, talvolta sonnecchia ed allora ci sta pure che da una sentenza di ieri, 22 luglio 2015, delle Sezioni Unite Civili (in composizione tutta maschile) ci sia poco o nulla da imparare se non nozioni già acquisite.


Il rammarico è che per leggere una motivazione sostanzialmente di routine sul danno tanatologico ci sia voluto un lasso di tempo enorme: tredici mesi di stallo per i diritti dei danneggiati dalla camera di consiglio del 17 giugno 2014 di attesa (vana) della sentenza - manifesto sulla risarcibilità del danno da perdita della vita.

E così, in attesa delle nuove regole che sta varando il Governo Renzi per ridurre i risarcimenti per i macrodanni (lunedì scorso i relatori hanno presentato i loro emendamenti al DDL Concorrenza e risulta confermata l'impostazione governativa), mentre sto ultimando una memoria penale in materia di contraffazioni di marchi e brevetti, a stento mi separo da un libro di Franz Hessel sull'arte di andare a passeggio per dedicarmi a LIA Law In Action e porre mano alla lettura di un quadro che ridimensiona al minimo sindacale una tematica, per converso, di poderoso interesse che avrebbe meritato ben più profonda analisi.

E forse sono maturi i tempi per una modifica epocale all'ordinamento giudiziario e magistratuale, tesa a divulgare il voto espresso in sede di deliberazione dai singoli componenti del Collegio, senza trincerarsi dietro la (mitizzata) segretezza della camera di consiglio.

Il desiderio di trasformarsi in mosca per svolazzare liberamente all'interno della sala in cui è riunito il collegio, posandosi ora sulla spalla di un componente, ora sul capo di un altro, rimane forte.

Sono un estimatore convinto dei Magistrati del S.C., che menziono di continuo nel mio peregrinare per seminari e convegni, e se le mie aspettative vanno a prima lettura deluse (non mi riferisco all'epilogo della statuizione, ma al modo di giungere a quell'esito), mi sento in diritto di scriverlo, da libero pensatore.

Un'occasione persa, quindi, per i nobili nomi che componevano il Collegio ed una materia nevralgica su cui si dovrà ineluttabilmente rimettere ordine dopo la panoramica compiuta dal Dott. Luigi Alessandro Scarano con la fondamentale pronuncia - revirement n. 1361 del 2014, da cui Cass., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350, Pres. Luigi Antonio Rovelli, Rel. Giuseppe Salmè, prende di necessità le mosse, in virtù dell'ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014, Est. Giacomo Travaglino.

Con tale ordinanza di rimessione al Primo Presidente Giorgio Santacroce si era rilevata l'esistenza di un contrasto consapevole tra la sentenza Scarano, che ammetteva il risarcimento jure hereditatis del danno derivante da perdita della vita verificatasi immediatamente dopo le lesioni riportate in un incidente stradale, ed il pregresso orientamento contrario, che per contro negava tale risarcibilità.

Anche le sentenze di San Martino 2008, n. 26972 e seguenti dell'11 novembre 2008, negarono la risarcibilità di siffatta posta di danno, concludendo per l'impossibilità di una rimeditazione della soluzione condivisa.

Le compagnie assicurative avevano già accantonate le riserve tecniche per fronteggiare i possibili esborsi.

Il PM, in persona dell'Avvocato Generale Umberto Apice, nomen omen, aveva concluso per l'accoglimento del ricorso presentato avverso la pronuncia della Corte d'Appello di Torino del 16 marzo 2007 da un nucleo familiare, tutelato dall'avv. Enrico De Magistris, autore del ricorso, che aveva per controparte (resistente con procura) UnipolSai, con gli avv.ti Marco Rodolfi e Filippo Martini, che hanno discusso la causa in forza della procura speciale: diamo una buona volta un po' di lustro anche agli avvocati che hanno posto le basi per la sollevazione della problematica (non scrivo criticità perché il vocabolo non mi piace come spiegai il 29 dicembre 2014 su queste colonne in un pezzo in cui urlavo la mia contrarietà all'uso scorretto e sbagliatissimo di "piuttosto che" in senso disgiuntivo).

Già dalle premesse si afferra al volo che l'approccio al problema è riduzionista e tendente a minimizzare le questioni sulla scorta del granitico passato, anche remoto di novant'anni fa.

Parleremo soltanto di danno da morte immediata, incominciano ad affermare gli Ermellini di Piazza Cavour al punto 3.1 della decisione.

Ricorre ad ogni pie' sospinto il riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite risalente al 22 dicembre 1925 (n. 3475) accompagnato dalla ratifica della Corte Costituzionale n. 372/1994 per conclamare che non può essere contemplato un diritto al risarcimento del danno jure hereditatis.

Manca un soggetto al quale collegare la perdita della vita e nel cui patrimonio possa essere acquisito il credito relativo.

Non dobbiamo aver paura della morte - ammoniscono gli Ermellini - perché o ci siamo noi o c'è la morte e non ci siamo più noi, come ricordava Epicuro nella Lettera sulla Felicità a Meneceo.

Vince, quindi, la giurisprudenza maggioritaria, conservatrice e... continuista e perde chi vorrebbe che i problemi venissero affrontati e non accantonati.

Rimane nebulosa la linea di demarcazione tra danno da agonia e perdita della vita.

Non si risponde in modo approfondito alla soluzione che costituisce il nucleo fondante della pronuncia Scarano del 23 gennaio 2014, n. 1361, vale a dire la risarcibilità in via di eccezione del danno - evento.

Con il quinto motivo i ricorrenti, congiunti del soggetto deceduto, criticano la sentenza della Corte territoriale piemontese per aver escluso il risarcimento, richiesto jure hereditatis, del danno biologico per la morte del loro congiunto seguita immediatamente dopo la lesione subita a causa dello scontro, che la Corte di Torino aveva fissato nella percentuale dell'80% a vantaggio della vittima, mentre il Tribunale di Cuneo aveva ripartito in 70-30% le quote di addebitabilità dell'accadimento sempre a favore del deceduto.

I ricorrenti denunciano la contraddizione tra l'ammissione del risarcimento a favore degli eredi per il meno grave danno derivante dalla perdita della salute e la negazione di tale risarcimento per il danno ben più grave derivante dalla perdita della vita dalla quale, indipendentemente dal venir meno del soggetto, non può che derivare un danno risarcibile.

Del resto, tra la lesione e la morte esisterebbe sempre un sia pur impercettibile spazio temporale e, di conseguenza, non sussisterebbe giustificazione logica fra l'ammettere il risarcimento nel caso in cui tale lasso è ampio e negarlo quando è minimo.

Ma le Sezioni Unite rispondono che la pur lodevole sentenza Scarano non contiene argomentazioni decisive per superare l'orientamento tradizionale, che, del resto, risulta conforme agli arresti della giurisprudenza europea, con la sola eccezione del Portogallo.

Il Portogallo non è epicureo?

Ricorso rigettato e spese almeno compensate perché il contrasto è insorto nella giurisprudenza della S.C. in attesa di chiarimenti sul concetto di danno da perdita della vita.

Con tutto il rispetto, ad Epicuro preferiamo Orazio: talora sonnecchia il buon Omero e con lui le pur autorevoli Sezioni Unite.

Non è affatto scritta la parola "fine" al danno da perdita della vita.

Alla prossima puntata, quindi, dell'infinita ed appassionante storia del danno non patrimoniale.


Il testo della sentenza 15350/2015 delle sezioni unite
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