di Marina Crisafi - Non può scattare la condanna per maltrattamenti in famiglia verso il partner violento senza la convivenza della coppia. In sostanza, ai fini dell'integrazione del reato ex art. 572 c.p. non basta un legame sentimentale duraturo, l'assistenza reciproca tra i partner o finanche la condivisione di interessi anche patrimoniali, serve la "coabitazione". Così si è espressa la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 32156 del 22 luglio 2015 (qui sotto allegata), annullando in parte la decisione d'appello che condannava a tre anni e mezzo di reclusione un uomo per i reati di lesioni, danneggiamento e maltrattamenti in famiglia nei confronti della propria partner.
Proprio con riferimento a tale ultimo reato, ha rilevato il Palazzaccio, l'applicazione dell'art. 572 c.p. è circoscritta ad "attività di natura abituale che maturino nell'ambito di una comunità consolidata", come può essere una famiglia, una piccola azienda, o comunque un contesto caratterizzato da tendenziale stabilità.
Nel caso di specie, invece, pur essendo in presenza di un legame sentimentale di una certa durata, caratterizzato da assistenza reciproca in numerose occasioni e dalla costituzione in comune di una società, il rapporto non è mai sfociato nella condivisione di un'abitazione, "la cui stabilità risulta dimostrata esclusivamente, oltre che dal perdurare del legame nel tempo, dalla dichiarata profondità dei sentimenti di entrambi".
Tale situazione, per gli Ermellini, dunque, non realizza neanche in nuce gli estremi della famiglia di fatto, proprio perché carente di "qualsiasi manifestazione tangibile di stabilità". Pertanto, la natura degli episodi di violenza da parte delluomo (consistenti in aggressioni fisiche e verbali) nei confronti della donna, ha concluso la S.C. (annullando la sentenza sul punto perché il fatto non sussiste), non poteva essere inquadrata nell'ambito del reato di maltrattamenti in famiglia.
Cassazione sentenza n. 32156/2015