di Marina Crisafi - Si paga? Quindi è attività commerciale. È questa in estrema sintesi il principio affermato dalla Cassazione con riferimento all'obbligo delle scuole paritarie di pagare l'Ici. L'esenzione, si legge nella sentenza n. 14225/2015 pubblicata dalla sezione tributaria della S.C. (qui sotto allegata), di cui abbiamo già dato notizia (leggi: "Cassazione: sì all'Ici per le scuole religiose") spetta, secondo la legge, soltanto agli immobili destinati esclusivamente "allo svolgimento di una delle attività di religione e di culto" e, comunque, erogate gratuitamente. E tra queste non possono rientrare certo quelle scolastiche offerte dietro pagamento di un corrispettivo. La retta pagata dalle famiglie degli allievi è indice rilevatore del fatto che l'attività è svolta secondo modalità commerciali.
E citando precedenti giurisprudenziali, precedenti e successivi al decreto "Cresci Italia" (intervenuto da ultimo sulla controversa materia della disciplina fiscale degli enti religiosi), la Suprema Corte ha escluso l'esenzione anche laddove l'istituto religioso operi in perdita. La questione, infatti, non è rilevante perché anche l'impresa può operare in perdita.
Ha ragione quindi il Comune di Livorno a chiedere gli arretrati Ici alle due scuole religiose cittadine, ma il principio si estende, com'è ovvio, a tutto il sistema delle scuole paritarie.
Un sistema costituito da oltre 13mila scuole di cui il 63% cattoliche (dati La Stampa).
Ed ecco, quindi, scatenarsi la bufera tra favorevoli e contrari al pagamento dell'imposta, tra chi parla di "spallata" alla libertà di educazione e di "decisione ideologica" e chi ancora paventa il rischio chiusura di un mondo con i conti già in rosso.
La parola intanto passa al giudice del rinvio e a ribadirlo è lo stesso primo presidente della Cassazione, Santacroce, che intervenuto per placare gli animi ha chiarito, come riportato da Repubblica, che la sentenza "si pone in linea di continuità con il consolidato orientamento".
Ma le polemiche continuano.
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