di Lucia Izzo - Non possono configurare il reato di stalking i comportamenti molesti, non abituali, messi in atto contro il collega invalido.
La quinta sezione penale della Cassazione ha precisato nella sentenza n. 32674/2015 (qui sotto allegata) che la "ritenuta condizione di inferiorità" in cui versa la vittima, non è di per sé elemento che può giustificare la fattispecie di reato prevista dall'art. 612-bis c.p., ma si rende opportuno valutare fino a che punto gli atti posti in essere siano da ritenersi oggettivamente molesti e in particolar modo se il carattere della reiterazione possa qualificare la condotta tipica del delitto di stalking.
La decisione della Corte giunge a seguito del ricorso proposto da un uomo avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova che lo aveva condannato per stalking in considerazione degli atti persecutori commessi ai danni di un collega di lavoro invalido civile.
A sostegno della sua domanda, l'imputato adduce l'errata applicazione della legge penale, ritenendo che "le condotte di dileggio asseritamente accertate (...) non possano ritenersi tipiche ai sensi dell'art. 612-bis c.p.". I comportamenti non sarebbero, difatti, da ritenersi molesti e difetterebbero altrsì del minimo di offensività richiesto dalla norma incriminatrice.
Il ricorso è ritenuto fondato dagli Ermellini, che in prima battuta distinguono il reato di stalking rispetto a quello di molestie previsto dall'art. 660 c.p.: non sarebbe necessario, per integrare il reato di molestie, il requisito dell'abitualità del comportamento come invece avviene per lo stalking, affermano infatti, potendosi configurare il reato anche a seguito di una singola azione di molestia o disturbo.
Tuttavia, il concetto del molestare (unico che rileva nel caso di specie non potendosi riscontrare altro comportamento minaccioso) può essere ricondotto a quello letteralmente richiamato dall'art. 612-bis così come avvertito dal linguaggio comune, identificandosi nell'azione "di chi infastidisca altri in modo da turbarne il benessere fisico o la tranquillità psichica".
L'atto molesto non è tale solo per il suo contenuto intrinseco, ma anche in base al contesto nel quale viene attuato e "soprattutto, delle condizioni soggettive di colui che lo subisce".
Necessario, inoltre, anche il carattere della serialità dei comportamenti intrusivi, in quanto la reiterazione della condotta tipizzata è ciò che il legislatore ha inteso contrastare poiché determinante un effetto "particolarmente destabilizzante per l'equilibrio psicologico della vittima".
Per i giudici della Corte, la valutazione del giudice di merito è apparsa sommaria, con evidenti lacune motivazionali limitate alla sola considerazione delle condizioni di inferiorità della vittima, descritta in maniera generica come un soggetto "invalido e semplice", senza consentire di apprezzare in concreto se gli atti potessero ritenersi "oggettivamente molesti" e se la loro reiterazione potesse qualificare la condotta come tipica in virtù delle peculiari condizioni soggettive della persona offesa. Pertanto, la sentenza è annullata e la parola passa al giudice del rinvio.
Cassazione sentenza n. 32674/2015