Accogliendo il ricorso avverso l'ordinanza con la quale il giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Firenze aveva disposto il rinvio al giudizio dell'imputato in un procedimento per spaccio di stupefacenti cui veniva contestata l'aggravante della cessione di droga a minori, la Corte di legittimità ha ritenuto di condividere l'impostazione della difesa secondo la quale, per valutare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità del provvedimento di sospensione del processo con messa alla prova ai sensi degli artt. 168 bis c.p. e 464 quater e ss. c.p.p., non devono essere tenute in considerazione le circostanze aggravanti, "seppure ad effetto speciale o comunque in grado di incidere, autonomamente, sulla pena".
A tale conclusione, più precisamente, la Suprema Corte perviene considerando la ratio deflattiva perseguita dal legislatore quale conferma che le disposizioni in tema di messa alla prova non riportano alcun esplicito riferimento alla possibile incidenza di eventuali aggravanti, mentre laddove il legislatore ha voluto che si tenesse conto delle circostanze aggravanti lo ha espressamente previsto; di conseguenza, l'unico parametro di riferimento dell'interprete nella valutazione circa l'applicabilità o meno della messa in prova ad una determinata fattispecie deve essere costituito dalla cornice edittale indicata dal legislatore.