di Valeria Zeppilli - La materia dell'assegnazione della casa familiare è regolata dall'art. 337 sexies del codice civile, che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 154/2013, ha sostituito l'art. 155 quater, sostanzialmente riproducendone i contenuti e apportando modifiche limitatamente agli obblighi che sorgono in caso di cambiamento di residenza o domicilio di uno dei coniugi.
Per quanto qui interessa, in particolare, il predetto articolo stabilisce che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli", rendendo palese che la finalità perseguita è quella di consentire ai figli di genitori in crisi di continuare a vivere in quello che è per loro il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si articola la vita familiare (cfr. Cass. civ. 5708/2014).
In sostanza, la giurisprudenza di gran lunga dominante ritiene che, in assenza di figli, la casa familiare non vada necessariamente assegnata a uno dei due coniugi.
Occorre precisare che l'assegnazione viene meno non solo in assenza di prole ma anche in caso di figli maggiorenni, economicamente autosufficienti, non conviventi e, quindi, non a carico dei genitori (a proposito cfr., ex multis, Cass. civ. n. 6020/2014).
Il principio che regola l'assegnazione è chiaramente posto nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole e non del coniuge, che quindi, se privo di figli, non potrà beneficiare della casa coniugale. Di conseguenza, nonostante i riflessi economici derivanti dalla concessione del beneficio, l'assegnazione non può essere disposta per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, essendo a tale scopo previsto unicamente l'assegno di mantenimento o divorzio (cfr., recentemente, Cass. civ. 15367/2015).
Peraltro, solo la ratio di tutela dell'interesse della prole può inficiare l'esigenza di protezione dell'eventuale diritto dominicale del coniuge estromesso dall'abitazione, in quanto espressione della funzione sociale della proprietà
sancita dall'art. 42 della Costituzione (cfr. Cass. civ. n. 13126/1992).