Tuttavia, per incassare tale somma, egli deve necessariamente provare l'entità del trattamento e la durata del matrimonio che ha coinciso con il rapporto di lavoro cui si riferisce l'indennità.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione, e deciso con la sentenza numero 16223/2015 depositata il 31 luglio (qui sotto allegata), la donna che pretendeva l'incasso della quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge si era limitata a chiedere informazioni alla A.S.P. presso la quale egli lavorava, senza poi attivarsi ulteriormente a seguito dell'inerzia dell'amministrazione.
Oltre a non aver provato la durata del matrimonio
, la ricorrente, pertanto, non aveva dimostrato neanche l'entità dell'indennità percepita dall'ex coniuge, della quale i giudici abbisognavano, assieme a quella della cessazione degli effetti civili del matrimonio e dell'attribuzione dell'assegno divorzile, al fine di verificare la sussistenza del diritto reclamato.La donna, oltretutto, si era limitata a chiedere che una quota dell'indennità di t.f.r. spettante all'ex marito le fosse attribuita e che l'azienda presso la quale quest'ultimo era stato impiegato le pagasse direttamente quanto richiesto o, se già liquidato all'ex marito, che fosse questo a provvedervi.
Nulla invece era stato richiesto dalla ricorrente con riferimento alla determinazione del suo diritto a percepire la quota di indennità di fine rapporto.
La Cassazione, pertanto, ha respinto il ricorso, confermando la decisione della Corte di appello, che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, non ha posto in essere alcuna violazione dell'art. 112 c.p.c., in quanto, peraltro, nel giudizio di merito la domanda era stata respinta.