di Angelo Casella
INCIVILTA' GIURIDICA
1.- Costituisce collaudata prassi trasformare in verità assoluta e indiscussa una qualunque affermazione, apodittica e deviante che sia, semplicemente declamandola da qualche pulpito occasionale, per poi, occasionalmente, ripeterla più volte in sedi diverse, per farla diventare un dato acquisito. E' una forma di orientamento surrettizio dell'opinione pubblica, molto seguita dal mondo politico.
2.- E' forse di ciò sconcertante esempio un articoletto ("Giustizia e Impresa", Corriere della Sera, 5 luglio 2015) opera di Legnini vicepresidente del CSM.
Nell'articolo si afferma che il Magistrato deve oggi adottare un nuovo modo di giudicare (!?). E questo nuovo modo deve essere basato su di una inedita "valutazione delle conseguenze" delle proprie decisioni sulla "vita delle imprese".
L'autore richiama esplicitamente i recenti casi Ilva e Fincantieri sostenendo che "la velocità dei cambiamenti (quali?) degli scenari economico-sociali", "apre nuovi spazi" che il Giudice sarebbe "chiamato (da chi?) a coprire".
E questo nuovo Giudice dovrebbe "cogliere e prevedere le conseguenze delle decisioni" e tenere conto della "previsione e degli effetti del proprio rendere giustizia", anteponendo (!) "le ragioni di una soluzione concreta" (cioè difforme dalla previsione di legge).
In realtà, dunque, si pretenderebbe che il nuovo Giudice si guardasse bene dal "rendere giustizia", se ciò si traduce in un disturbo dell' attività di impresa.
3.- Del tutto secondario, dunque, che l'impresa inquini, intossichi e devasti l'ambiente, distruggendo la salute di intere generazioni. Il Giudice non deve fermarne l'attività, applicando la legge, bensì deve trovare una soluzione concreta che dia licenza all'impresa di violarla impunemente.
L'autore si chiede, infatti, in modo decisamente salomonico, ad esempio, era proprio sicuro (?) che "il diritto alla salute" nel caso Fincantieri risultasse "veramente prevalente" (!!!) sul "diritto al lavoro" e sul diritto (?) alla "libertà d'impresa".
Una domanda che dovrebbe essere posta ai numerosi cadaveri che l'incuria di molte imprese provoca.
In ogni caso, è ovvio che il diritto al lavoro (la cui stessa esistenza, in altre occasioni, viene negata esplicitamente) presuppone che il lavoro stesso non ammazzi il lavoratore, altrimenti non è un lavoro ma una condanna a morte.
Quanto alla c.d. "libertà d'impresa", non è certo più rilevante della libertà di vivere, possibilmente non aggrediti da veleni e tossine industriali, (dentro e fuori le fabbriche).
4.- Probabilmente qui si intende quella stessa "libertà d'impresa" grazie alla quale la Union Carbide nel 1984, a Bhopal, in India, ha potuto ammazzare circa 20 mila persone. E che, per Legnini, avrebbe sicuramente dovuto fruire di una "soluzione concreta" da parte dei Giudici indiani. (Procede in questa direzione anche il nuovo Trattato TTPI in preparazione, che avrebbe probabilmente consentito alla Union Carbide di chiedere i danni al governo indiano per aver approvato norme che vietano l'inquinamento).
5.- Poiché non si ha il coraggio (per motivi elettorali) di sfidare l'opinione pubblica con leggi che stabiliscano esplicitamente un diritto delle imprese di intossicare l'ambiente a danno della popolazione, si aggira il problema utilizzando chi le leggi esistenti deve farle rispettare. Ed ecco le ragioni del tentativo di spingere il Magistrato a violare i propri doveri giuridici e morali: pervenire allo stesso risultato senza emettere leggi abbiette, che susciterebbero decise reazioni contrarie dell'elettorato.
E' noto che, da tempo, i centri economici mondiali cercano, con la globalizzazione, gli accordi "commerciali" ed altro, di trasformare il pianeta in un luogo massimamente favorevole alla produzione di profitti. Da ciò, pressioni di ogni tipo affinché siano cambiate le normative essenziali: quelle sul lavoro, sul fisco, sulle società, sulla (non) protezione dell'ambiente, sulle (demenziali) privatizzazioni, ecc., ecc. In questo ambito, si cerca anche di neutralizzare l'azione della Magistratura nei confronti del potere economico.
Non è un caso che la c.d. "Europa" abbia preteso dalla Grecia la riforma del codice di procedura civile, che con i bilanci ha ben poco a che fare, ma che mira a facilitare le procedure esecutive contro i debitori (sacrificando i diritti della difesa...).
6.- a. E la formazione di questo "nuovo" Giudice che viene presentato all'opinione pubblica come una felice evoluzione, passa attraverso il ricatto.
Esterna infatti il Legnini che occorre "sviluppare (!) una cultura della giurisdizione sempre più moderna" (termine che compare sempre quando si vuole gabellare qualche regressione come una splendida acquisizione).
Prescindendo dal fatto che non esiste e non deve esistere alcuna "cultura" della giurisdizione, il cui unico riferimento deve essere la legge, ci si chiede quale debba essere tale improvvisata novità.
Ed ecco la perla del nostro che, rivolgendosi ai Magistrati con una sorta di "minaccia", li avverte che il CSM intende "riformare" i "percorsi di carriera" e gli "incarichi direttivi" per formare (e qui esce allo scoperto) un "nuovo" profilo di Giudice che sia "in sintonia con le aspettative del Paese" (per "Paese" intendendosi ovviamente lui stesso ed i suoi suggeritori).
In sostanza, è come se stesse dicendo: caro il mio Giudice, se vuoi fare carriera ed avere incarichi direttivi devi tener primariamente in considerazione le "conseguenze" delle tue decisioni sui profitti delle imprese, ben al di là dell'inconveniente collaterale di qualche morticino casuale. Altrimenti scordati di fare carriera.
b. Si tratta di sciocchezze colossali, inaccettabili.
Improponibile anche qualsiasi "graduatoria" tra i diritti. I diritti non si pesano come le patate. Come tali, sono concettualmente eguali ed esistono e trovano tutela nelle norme che li precedono.
Perché poi ci si preoccupa delle "conseguenze" delle decisioni solo con riferimento alla "vita" delle imprese e non anche a quella dei singoli cittadini?
Infatti, mettere in galera un criminale potrebbe creare gravi problemi di sussistenza alla di lui famiglia. Meglio dunque lasciarlo fuori.
E perché poi costringere un debitore a saldare i suoi debiti quando ciò potrebbe provocargli una depressione? Una crudeltà inammissibile. Siamo proprio sicuri che il diritto del creditore debba prevalere sul diritto alla felicità del debitore?
7.- Neppure è il caso di richiamare il principio cardine stabilito dalla Costituzione (art. 101) a guida della funzione giurisdizionale: "I Giudici sono soggetti soltanto alla legge".
Ciò che significa, ovviamente, che il solo ed unico criterio che deve ispirare la decisione del Giudice è il rispetto della norma.
E le "conseguenze" di questa applicazione non sono di competenza del Giudice.
Il dettato costituzionale fornisce l'unica garanzia di obbiettività della pronuncia giudiziaria: la conformità alla legge.
Insinuare che il Giudice debba "valutare" le "conseguenze" della applicazione della legge significa introdurre nel processo decisionale un insondabile fattore di discrezionalità, che è assolutamente letale per la sua corretta gestione.
Si prospetta, in sostanza, una sorta di doppio binario giudiziario di fatto, uno per le imprese (alle quali è riservata una valutazione "concreta" del caso), ed uno per i comuni mortali (per i quali rimane la previsione astratta della legge). Superfluo ogni ulteriore commento.
Si tratta di una deviante deformazione della funzione giurisdizionale, che ne altera l'essenza medesima, abbattendone l'obbiettività e, con essa, il sacro principio di eguaglianza dei cittadini.
8.- In realtà, questa deformazione dei principi di base della cultura giuridica e della civiltà in generale, sottende l'intendimento (che occhieggia del resto da tutte le c.d. "riforme" che si stanno introducendo nel nostro ordinamento) di modificare pesantemente l'ordine sociale, creando una casta dominante di privilegiati, facilitata nel perseguimento dei propri interessi da un nuovo sistema, fortemente gerarchizzato e accentrato, costruito su misura per il loro specifico vantaggio.
Angelo Casella