di Valeria Zeppilli - Il datore di lavoro è responsabile del comportamento discriminatorio o molesto tenuto da un dipendente nei confronti di una collega.
Come chiarito anche dal Tribunale di Milano, infatti, il datore di lavoro ha l'obbligo di tutelare l'integrità psicofisica dei propri dipendenti in virtù della clausola generale di cui all'articolo 2087 c.c., che disciplina la tutela delle condizioni di lavoro, e in ogni caso secondo le previsioni dell'articolo 2049 c.c., che sancisce la responsabilità di padroni e committenti.
E poco importa che il comportamento discriminatorio o molesto sia riferibile alle mansioni attribuite al lavoratore solo marginalmente o indirettamente: come specificato anche dalla sentenza n. 27706/2012 della Cassazione, infatti, il datore non risponde di tale comportamento solo quando esso sia frutto di un'iniziativa estemporanea e personale che sia totalmente incoerente rispetto alle mansioni svolte e manchi del nesso di occasionalità necessaria.
Nel caso di specie, invece, il superiore molestava la collega proprio abusando del ruolo ricoperto di superiore gerarchico.
Il suo comportamento, in diritto, va inquadrato nella fattispecie di cui all'articolo 26 del d.lgs. n. 198/2006, in base al quale "sono considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo".
Così, con la sentenza n. 455/2015 (qui sotto allegata), il datore di lavoro è stato condannato a risarcire il danno subito dalla propria dipendente, per non averla tutelata adeguatamente dal comportamento vessatorio del collega.
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