di Valeria Zeppilli - L'accertamento induttivo del reddito è consentito solo quando, anche in presenza di scritture contabili, la contabilità può essere considerata complessivamente inattendibile e confliggente con le regole fondamentali di ragionevolezza.
Di conseguenza, l'amministrazione finanziaria è legittimata a procedere all'accertamento induttivo solo laddove lo scostamento tra ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati rispetto a quelli desumibili dagli studi di settore sia gravemente incongruente.
Le proporzioni dello scostamento, in sostanza, devono essere rilevanti e non semplicemente diverse dalla media riscontrata nel medesimo settore commerciale: quest'ultima, infatti, costituisce una "mera estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei" e non è idonea ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni.
A precisarlo è la sentenza numero 16597/15 della Corte di cassazione, pubblicata il 7 agosto (qui sotto allegata), che si pone in una prospettiva di continuità rispetto all'orientamento consolidato nel corso degli anni.
Forti dei suddetti principi, i giudici, nel caso di specie, hanno cassato la sentenza emessa dalla CTR del Lazio, che aveva sanzionato il contribuente limitandosi a rilevare lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli mediamente accertati, senza tener conto della concreta condizione in cui questi si trovava: egli, infatti, era membro della Commissione Edilizia del Comune di Roma e, conseguentemente, impossibilitato per incompatibilità ad esercitare la propria attività professionale di architetto nel territorio del Comune di Roma. Egli, inoltre, era già titolare di pensione di anzianità e, in conseguenza di ciò, aveva ultimamente prestato un minor impegno lavorativo.