di Valeria Zeppilli - Come noto, presso l'INPS è istituito un apposito fondo che garantisce il lavoratore che abbia diritto al T.F.R. dal mancato pagamento dello stesso da parte del datore di lavoro.
Non altrettanto noto, però, è che tale fondo opera non solo in caso di insolvenza dovuta a fallimento del datore di lavoro, ma anche laddove la dichiarazione di fallimento non sia intervenuta.
A chiarirlo per la prima volta è stata la sentenza della Corte di cassazione numero 7595 del primo aprile 2011.
Ciò con la specificazione che, in ogni caso, è necessario preventivamente tentare di soddisfare il credito attraverso l'esecuzione forzata e che può ricorrersi al Fondo solo laddove tale procedura sia risultata insufficiente.
Più recentemente il principio è stato ribadito dalla sentenza della Cassazione numero 15369 del 4 luglio 2014 che ha confermato che l'insolvenza del datore di lavoro in danno del dipendente che, cessato il proprio rapporto, abbia diritto al T.F.R. è coperta dal Fondo di garanzia anche se tecnicamente non sia stato dichiarato il suo fallimento.
Ma è con la sentenza numero 1607 del 28 gennaio 2015 che i giudici di legittimità hanno definitivamente consacrato il loro orientamento, stabilendo che: "ai fini della tutela prevista dalla legge n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del TFR, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia presso l'INPS, anche se il datore di lavoro non sia in concreto assoggettato a fallimento (in relazione anche all'ipotesi di esiguità del credito azionato), essendo sufficiente che lo stesso lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l'azione esecutiva".