- Negozio illegale e negozio immorale
- Rilevanza della distinzione tra negozio illegale e negozio immorale
- La ripetibilità del contratto in frode alla legge
Negozio illegale e negozio immorale
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L'articolo 1343 del codice civile sancisce l'illiceità della causa di un contratto contrario a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume.
In sostanza, il riferimento va a due tipologie negoziali, che devono essere tenute ben distinte.
Infatti, quando la causa è contraria a norme imperative o all'ordine pubblico, si è di fronte a un contratto c.d. illegale, mentre quando la causa è contraria al buon costume, si è di fronte a un contratto c.d. immorale.
Occorre specificare che la contrarietà al buon costume non va circoscritta all'idea di pudore sessuale o di generica decenza, ma deve estendersi sino a ricomprendere tutti i principi che vanno a comporre la coscienza sociale collettiva, in un determinato contesto storico e ambientale.
Rilevanza della distinzione tra negozio illegale e negozio immorale
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La distinzione tra negozio illegale e negozio immorale rileva in particolar modo sul piano delle conseguenze della loro nullità.
Infatti, l'articolo 2035 del codice civile, nel prevedere un'eccezione al principio generale per cui il negozio nullo dà diritto alla restituzione di quanto pagato, stabilisce l'irripetibilità delle somme esborsate in esecuzione del contratto limitatamente in capo a colui ha eseguito una prestazione contraria al buon costume.
L'irripetibilità, quindi, non opera per colui che eseguito una prestazione contraria a norme imperative o all'ordine pubblico.
La ripetibilità del contratto in frode alla legge
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Figura distinta sia dal contratto illegittimo che dal contratto immorale è quella del contratto in frode alla legge, prevista dall'articolo 1344 del codice civile.
Esso si ha quando la stipulazione negoziale non è contraria alla legge ma, di per sé apparentemente lecita, è tesa in realtà ad aggirare una normativa (leggi: "La nullità del contratto in frode alla legge").
Anche in questo caso, non applicandosi l'articolo 2035 del codice civile, vige il principio generale di ripetibilità della prestazione e colui che l'ha eseguita ha diritto alla restituzione di quanto pagato.