di Avv. Paolo Accoti - Come è noto, chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione (art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/2010).
Tuttavia, il procedimento di mediazione non si applica e, pertanto, non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, tra gli altri: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (art. 5, comma 4, D.Lgs. 28/2010).
Ciò sta a significare che l'obbligatorietà della mediazione nei procedimenti di ingiunzione non è esclusa tout court ma rimane latente, nel senso che essa prenderà vigore nella fase eventuale dell'opposizione e, precisamente, dopo la prima udienza, deputata, tra l'altro, alla concessione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. ovvero l'assegnazione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto o, se già concessa, la sua eventuale sospensione.
Ora vi è da chiedersi su quale parte incombe il suddetto obbligo, in altri termini, se l'onere di esperire il procedimento di mediazione rimane in capo all'opponente - convenuto in senso sostanziale - ovvero all'opposto - attore in senso sostanziale.
La questione oggi discussa non è di poco conto, considerato che il mancato esperimento della mediazione comporta conseguenze irreversibili che, a seconda del soggetto su cui grava, possono tradursi nella conferma o, viceversa, nella revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Purtroppo ad oggi la giurisprudenza di merito si è dimostrata oltre modo ondivaga, facendo ricadere l'anzidetto onere talvolta in capo all'opponente altre volte in capo al medesimo opposto.
A favore della prima tesi, quella che fa ricadere sull'opponente - convenuto in senso sostanziale - l'onere di avviare il procedimento di mediazione si schierano il Tribunale di Firenze, quello di Nola e da ultimo il Tribunale di Monza.
Tanto è vero che: "Alla dichiarazione d'improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per mancato esperimento della mediazione prevista quale condizione di procedibilità della domanda consegue la conferma del decreto ingiuntivo opposto" (Tribunale Nola, 24/02/2015).
Nello stesso senso, in precedenza, era stato affermato come: "Nell'opposizione a decreto ingiuntivo così come per i procedimenti di appello, la locuzione improcedibilità della domanda giudiziale deve interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell'opposizione o dell'impugnazione in caso di appello e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo" (Tribunale di Firenze, 30/10/2014).
Tale tesi, si fonda essenzialmente sulle analogie presenti tra i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo e quelli impugnatori, per i quali all'improcedibilità della domanda consegue l'estinzione del giudizio.
Secondo i fautori di questa tesi, pertanto, al fine di evitare di dare interpretazioni dell'art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 28/2010, discordanti con le sopra riferite peculiarità, risulterebbe preferibile che per le opposizioni a D.I., al pari dei procedimenti di appello, l'asserzione relativa alla "improcedibilità della domanda giudiziale" venisse interpretata come "improcedibilità/estinzione dell'opposizione", come del resto avviene nel caso di impugnazione in appello, e non quale improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo.
Diversamente opinando, si verrebbe a configurare, una improcedibilità, peraltro successiva, che intaccherebbe un provvedimento giudiziario idoneo al giudicato sostanziale, quale appunto il decreto ingiuntivo, già ritualmente emesso, ancorché sub judice.
Sostenere il contrario e, pertanto, che al mancato esperimento della mediazione conseguirebbe la revoca del decreto ingiuntivo opposto, oltre a contraddire lo spirito deflattivo della mediazione, comporterebbe la creazione di un precedente non conosciuto dall'ordinamento processuale italiano.
Nello stesso senso si è espresso, da ultimo, il Tribunale di Monza, in data 31.03.2015, il quale afferma come: "nel giudizio che s'instaura con l'opposizione a decreto ingiuntivo emesso con riferimento ad una delle materie indicate nel richiamato art. 5 L. Med., l'omessa instaurazione del procedimento di conciliazione entro il termine fissato dalla legge determina la improcedibilità della domanda formulata con l'atto di citazione in opposizione (ed eventualmente con la comparsa di risposta o con comparse di terzi), che è l'atto che ha dato origine al procedimento di opposizione, nel quale l'opponente ha la veste processuale di attore. Non vi è dubbio, infatti, che essendo il decreto ingiuntivo astrattamente idoneo a diventare definitivo, (si pensi al caso di mancata opposizione ovvero di estinzione del procedimento di opposizione eventualmente proposto) il mancato verificarsi della condizione di procedibilità costituita dall'instaurazione del procedimento di mediazione, è destinato ad incidere esclusivamente e negativamente sul procedimento di opposizione e non anche sul decreto ingiuntivo i cui effetti, in ossequio ai principi processuali propri di tale procedimento speciale (cui, è bene ricordarlo, la normativa in tema di mediazione non deroga espressamente), divenendo improcedibile il relativo procedimento di opposizione si consolidano e non sono più suscettibili di essere posti in discussione. Ritenere, al contrario, che la mancata instaurazione del procedimento di mediazione conduca alla revoca del decreto ingiuntivo importerebbe un risultato "abnorme" rispetto alle regole processuali proprie del rito, dal momento che si porrebbe in capo all'ingiungente opposto -già munito di un titolo idoneo a passare in giudicato- l'onere di coltivare il giudizio di opposizione da lui non instaurato al solo fine di garantirsi la salvaguardia del provvedimento monitorio, in contrasto con l'impostazione inequivoca del giudizio di opposizione come giudizio eventuale rimesso alla libera scelta del debitore ingiunto".
Viceversa, la tesi che vorrebbe far ricadere sull'opposto - attore in senso sostanziale - l'onere di esperire il tentativo di mediazione sotto pena, in mancanza, della revoca del decreto ingiuntivo, è stata sostenuta dapprima dal Tribunale di Varese e, successivamente, da quello di Ferrara, con la sentenza del 7/01/2015.
A tal proposito, infatti, è stato ritenuto che: "L'onere del tentativo obbligatorio di mediazione, ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, è posto a carico di «chi intende esercitare in giudizio un'azione». Nei procedimenti monitori, l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione il quale, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio, investe il giudice del potere-dovere di statuire sulla pretesa originariamente fatta valere con la domanda di ingiunzione, con la conseguenza che il processo non verte attorno alla legittimità o liceità della ingiunzione, ma sul diritto monitoriamente azionato. Ne consegue che attore sostanziale (e, dunque, chi agisce in giudizio, nei sensi di cui all'art. 5, comma 1, cit.) è il creditore e non il debitore che proponga opposizione: a carico di questi un onere è configurabile solo in caso di domande in riconvenzione o verso terzi, ma non certo per il solo fatto di avere dovuto proporre l'opposizione. Pertanto, successivamente alla pronuncia sulle istanze ex artt. 648 o 649 c.p.c., il soggetto tenuto ad attivarsi per evitare la declaratoria di improcedibilità della domanda è il creditore opposto, attore in senso sostanziale" (Tribunale Varese, 18/05/2012).
Detta tesi, pertanto, affonderebbe le sue radici nel dato letterale della norma, la quale pone a carico di "chi intende esercitare in giudizio un'azione", l'onere della mediazione.
Nel caso dell'opposizione a decreto ingiuntivo s'instaurerebbe un ordinario giudizio di cognizione, nel quale, colui il quale esercita l'azione risulta proprio l'opposto, attore in senso sostanziale, sul quale conseguentemente incomberebbe il suddetto onere.
Conclude il Tribunale di Varese evidenziando come: "L'atto di opposizione, infatti, non costituisce una iniziativa processuale ma la reazione difensiva all'impulso procedimentale altrui. Peraltro, una interpretazione differente, evidentemente crea uno squilibrio irragionevole ai danni del debitore che non solo subisce l'ingiunzione di pagamento a contradittorio differito ma nella procedura successiva alla fase sommaria viene pure gravato di un altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui".
E' stato altresì rilevato che: "Nonostante l'attore in senso formale sia il debitore opposto, attore in senso sostanziale è il creditore e quindi a lui spetta l'onere di instaurare la procedura di mediazione. In considerazione della natura peculiare del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo la legge ha espressamente previsto che la mediazione non debba essere esperita obbligatoriamente prima del deposito del ricorso monitorio, ma ha stabilito che la obbligatorietà diviene operativa dopo la pronunzia del GI della opposizione sulle richieste ex artt. 648 e 649 cpc, ovvero dopo la celebrazione della udienza ex art. 183 cpc. Ritiene questo giudice che l'onere dell'esperimento della mediazione spetti al creditore ingiungente e successivamente opposto, in ragione della individuazione della domanda spiegata in giudizio e della sua titolarità in senso sostanziale. Di conseguenza, se la mediazione non viene promossa, a divenire improcedibile è la domanda del creditore azionata in ricorso monitorio con conseguente decadenza del decreto ingiuntivo" (Tribunale Ferrara, 7/01/2015).
Nell'attesa di un intervento chiarificatore della Suprema Corte, a parere di chi scrive, sembrerebbe preferibile la tesi che pone in capo all'opponente l'onere di avviare la procedura di mediazione.
Tanto perché l'interesse a coltivare il giudizio di opposizione dovrebbe essere proprio dell'opponente, il quale ha l'esigenza di ottenere un pronunciamento che comporti la revoca del decreto ingiuntivo e, pertanto, l'accoglimento delle ragioni che hanno portato ad opporsi all'ingiunzione di pagamento, il quale, conseguentemente, avrebbe tutte le ragioni (interesse ad agire) per promuovere la mediazione.
Sostenere il contrario imporrebbe al creditore opposto l'esperimento di un'ulteriore attività, quella della mediazione, nonostante lo stesso si sia già munito del provvedimento giudiziale, quale appunto l'ingiunzione di pagamento.
Senza contare che far ricadere l'onere di proporre l'istanza di mediazione in capo al creditore-opposto, alimenterebbe oltre modo la proposizione di opposizioni meramente defatigatorie, nella speranza che l'opposto, dopo l'udienza per la concessione o la revoca del decreto ingiuntivo opposto, magari "dimentichi" di avviare l'anzidetto procedimento di mediazione con la conseguente revoca del decreto ingiuntivo.
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