di Marina Crisafi - L'avvocato che esercita la professione in casa, senza uno studio ad hoc, non deve pagare l'Irap, neanche se si avvale di collaborazioni con studi esterni. Lo ha stabilito la sezione tributaria civile della Cassazione, con sentenza n. 16941/2015 depositata ieri (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un legale avverso la sentenza della CTR del Piemonte che aveva rigettato l'appello nei confronti della cartella di pagamento emessa dall'Agenzia delle Entrate per l'omesso versamento della somma di euro 5.700 per l'Irap per il periodo di imposta 2003.
Ad avviso del giudice tributario, infatti - posto che il contribuente lavorava presso la filiale torinese di uno studio legale di Milano senza vincoli di orario e di esclusiva, che lo stesso aveva promiscuamente adibito la propria abitazione a studio, a fronte di un reddito dichiarato di oltre 178mila euro e di costi per oltre 37mila - erano presenti gli elementi necessari a dimostrare l'esistenza di una organizzazione autonoma finalizzata alla produzione di reddito, con conseguente assoggettabilità del professionista all'Irap.
A questo punto il legale si rivolgeva alla Cassazione e il Palazzaccio riteneva fondate le sue doglianze.
Richiamando il costante e condiviso orientamento in materia, la Corte ha affermato infatti preliminarmente che "in tema di Irap, presupposto per l'applicazione dell'imposta, secondo la previsione dell'art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446 è l'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, che ricorre qualora il contribuente sia il responsabile dell'organizzazione ed impieghi beni strumentali, eccedenti per quantità o valore il minimo generalmente ritenuto indispensabile per l'esercizio della professione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui". Per cui l'esistenza di un'autonoma organizzazione "non deve essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, bensì in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, frutto dell'organizzazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui".
Nel caso di specie, invece, ha proseguito la S.C., il contribuente è solo collaboratore di un altro studio legale, la cui organizzazione ai fini Irap è quindi irrilevante, ed inoltre non ha neanche uno studio proprio esercitando la professione presso la propria abitazione. Quanto ai costi sostenuti per l'esercizio della stessa, pari a oltre 37mila euro, ha ragionato la Corte, se valutati nella loro specificità (ossia costi di ammortamento, locazioni di beni mobili, spese di locazione, consumi, ecc.) "non denotano autonoma organizzazione tale da rendere il cliente assoggettabile all'Irap".
In conclusione, pertanto, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata e deciso la causa nel merito, accogliendo il ricorso del legale e condannando l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio di legittimità.
Cassazione, sentenza n. 16941/2015