di Aldo Carpineti - Dopo un lungo periodo di ingessamento successivo all'entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori (1970) la materia ha avuto a partire dagli ultimi anni del secolo scorso evoluzioni continue e ininterrotte modifiche collegate anche, come è logico considerata la natura dell'argomento, agli indirizzi politici dei Governi in carica.
E' del 1997 la Riforma Treu che creava, anche sull'onda e sull'esempio di diversi Paesi occidentali, il "lavoro interinale" attraverso il quale al datore di lavoro era data la possibilità di "prendere in affitto" uno o più lavoratori da società specializzate che avevano provveduto all'assunzione e che mantenevano in forza il dipendente stesso; il rapporto aveva valenza a tempo determinato, con possibilità di conferma finale e di trasferimento del lavoratore alla azienda utilizzatrice.
Nel 2003 la legge Biagi ribadiva sostanzialmente questi principi allargando il numero degli enti abilitati ad "affittare" lavoratori e trasformando il nome da "lavoro interinale" a "lavoro in somministrazione". Era data altresì la possibilità di prevedere fin dall'inizio un rapporto a tempo indeterminato.
Nel frattempo gli Uffici di Collocamento, che tanta parte avevano avuto nella individuazione dei diritti e delle graduatorie di assunzione, si trasformavano in Uffici per l'Impiego e perdevano la caratteristica di applicare effetto costitutivo al contratto di lavoro individuale: la scelta del dipendente da assumere passava incondizionatamente al datore di lavoro. All'Ufficio per l'Impiego rimaneva l'importante funzione di favorire l'incontro della domanda e dell'offerta di lavoro sia attraverso elaborazioni elettroniche a livello nazionale, sia direttamente attraverso il contatto tra datori di lavoro ed aspiranti lavoratori.
Più tardi la riforma Fornero metteva l'accento soprattutto sulle esigenze formative del rapporto di lavoro, segnatamente con sostanziali interventi in materia di "apprendistato".
Ai nostri giorni il Jobs Act, accompagnato da polemiche e dispute, infrangeva il principio del licenziamento individuale sortendo effetti di natura psicologica più che concrete conseguenze nella realtà quotidiana dei rapporti di lavoro in essere.
Contemporaneamente il ciclone Marchionne in Fiat dava proprie interpretazioni ai rapporti tra datore e lavoratori incidendo di fatto sulle realtà delle relazioni industriali aziendali.
Dati questi precedenti oggi il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti si appresta a studiare e realizzare de iure condendo nuove forme di regolamentazione per tutta la materia.
Ma l'oggetto dell'intervento di Poletti non sarà più come è stato in passato e fin qui il Diritto del lavoro bensì le Relazioni Industriali.
L'attuale momento storico vede un progressivo disamoramento della gente alle organizzazioni partitiche e sindacali. Le une e le altre subiscono in questo periodo, volenti o nolenti, consistenti diminuzioni nel numero degli iscritti, in alcuni centri cittadini di rilevanza nazionale partiti di grandi dimensioni sono costretti al commissariamento.
Anche i maggiori sindacati, indistintamente chi più chi meno, stanno perdendo notevoli volumi nei tesserati.
A livello nazionale le sorti dei sindacati sono affidate a Camusso (CGIL) Furlan(CISL) e Barbagallo (UIL) con interventi ed inserimenti significativi del responsabile FIOM Maurizio Landini. Non v'è dubbio che la forza d'urto sindacale abbia oggi perso gran parte del suo vigore rispetto ai tempi ormai lontani dei Lama dei Benvenuto e dei Carniti. E che l'efficacia degli incontri fra le parti sociali a livello nazionale si sia ridimensionata ai minimi termini. I tre maggiori sindacalisti sembrano più efficaci nel sostenere su un piano generale battaglie politiche e, di tanto in tanto, scioperi generali avvertiti sino ad un certo punto dalla base, piuttosto che nel riuscire a mettere sul tavolo della contrattazione nazionale i temi che di volta in volta assumono maggior spicco per le vicende lavoristiche.
Ciò posto, ed anche in seguito alla contemporanea maturazione del sindacalismo eletto in ogni singola azienda ed alla crescita esponenziale della rilevanza del secondo livello sindacale (quello provinciale) nonché alla considerazione che ogni azienda fa storia a sé pur nel panorama delle ampie categorie d'insieme, le riforme del Ministro Poletti andranno ad incidere nella sostanza del rapporto di lavoro non attraverso nuovi interventi sulla regolamentazione del rapporto stesso ma piuttosto sui compiti e sulle rilevanze delle contrattazioni a livello inferiore rispetto a quello nazionale.
Non ci sarà da stupirsi di conseguenza se attraverso le leggi che sono ora allo studio la contrattazione aziendale e di secondo livello potranno superare quella nazionale, circostanza fino a questo momento non ammessa, nello stretto rispetto del principio della "non reformatio in pejus".
Le diminuite certezze che caratterizzano il mondo di oggi rispetto a quello della seconda metà del '900 e la considerazione che ogni realtà aziendale a sè stante abbia bisogno, per le proprie esigenze di agilità e snellezza, di opportune singolari soluzioni particolari fanno sì che la contrattazione di minore livello possa prendere il sopravvento su quella nazionale. Una svolta che soltanto una ventina di anni fa avrebbe fatto rabbrividire, ma che oggi, con il mutare delle situazioni della vita in generale e del mondo del lavoro nello specifico può prendere campo e sostituire principi vecchi ormai di decenni e decenni.
In questa direzione paiono muoversi gli studi del Ministro Poletti che, in tal modo, sembra interpretare la realtà odierna in chiave trasformata rispetto a quella dei trascorsi periodi legislativi.