di Valeria Zeppilli - Secondo quanto recentemente stabilito dal Tribunale di Milano, con sentenza del primo luglio 2015, l'addebito della separazione in capo al coniuge fedifrago può essere chiesto e ottenuto attraverso la semplice produzione di foto scattate da un investigatore privato.
Con un solo colpo di spugna, i giudici meneghini hanno cancellato i loro precedenti e quelli della Cassazione, stabilendo che la testimonianza del detective che confermi la prova atipica costituita dal dossier fotografico non è necessaria. O, più correttamente, non lo è se la controparte non contesta nel merito le accuse di violazione dell'obbligo di fedeltà.
Nel caso di specie, le foto erano state prodotte da una moglie che, per provare l'infedeltà del marito, peraltro scoperto direttamente dalla donna in compagnia dell'amante all'interno della casa coniugale, si era affidata a un'agenzia di investigazioni.
A fronte di tale produzione, l'uomo aveva semplicemente tentato di aggirare l'evidenza delle immagini, contestandone non il contenuto ma l'illegittimità sotto altri punti di vista, asserendo, ad esempio, l'irregolarità dei pedinamenti per contrasto con la normativa a tutela della privacy.
Pur ribadendo che il materiale fotografico può essere utilizzato solo come presunzione o argomento di prova, essendo assimilabile agli scritti provenienti da terzi, in presenza di capitoli di prova formulati a conferma del materiale e astrattamente ammissibili e in assenza di contestazioni nel merito il Tribunale ha ritenuto di dover accogliere il ricorso della donna, addebitando la separazione all'ex marito, senza necessità di ulteriori conferme.
In applicazione del "principio di non contestazione" di cui all'articolo 115 c.p.c., quindi, i giudici hanno individuato nella mancata contestazione specifica della veridicità di quanto emerso dal materiale fotografico una sostanziale ammissione dei fatti da parte del coniuge fedifrago, sufficiente ad inchiodarlo.