di Marina Crisafi - Rivolgersi a qualcuno in modo maleducato certo è scorretto ma non sempre costituisce un'offesa all'onore e al decoro di una persona. Lo ha ricordato la Cassazione, nella recente sentenza n. 35027/2015 (qui sotto allegata), assolvendo una donna, ritenuta colpevole dal tribunale di Genova, del reato di ingiuria, per essersi rivolta al cognato con la frase "stai zitto e non dire belinate".
La donna non ci sta e lamenta che l'espressione è tipica del linguaggio genovese e usata comunemente in tono scherzoso/ammonitorio (tanto da costituire quasi un intercalare) e in tal modo doveva interpretarsi nel contesto in cui era stata pronunciata: ossia una pacata conversazione tra parenti allora in buoni rapporti.
La quinta sezione penale le dà ragione.
Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, ha affermato, infatti, la S.C., "in tema di tutela penale dell'onore, al fine di accertare se l'espressione utilizzata sia idonea a ledere li bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui ali'art. 594 cod. pen., occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale, in rapporto alle personalità dell'offeso e dell'offensore, unitamente al contesto nel quale l'espressione è pronunciata ed alla coscienza sociale". E in tale prospettiva, ha proseguito la Cassazione, è stato più volte ribadito che "non integrano il reato di ingiuria le espressioni verbali, caratterizzate da terminologia scorretta e ineducata, che pur risolvendosi in dichiarazioni di insofferenza rispetto all'azione del soggetto nei cui confronti sono dirette, non si traducono in un oggettivo giudizio di disvalore sulle qualità personali dello stesso, e che risultano ormai accettate dalla coscienza sociale secondo un criterio di media convenzionale".
Per cui, rileva il Collegio, la vicenda in questione rientra in quest'ipotesi, posto che la frase pronunciata dall'imputata all'indirizzo del cognato "sicuramente scomposta e ineducata" non ha espresso un oggettivo giudizio di disvalore sulle qualità personali dello stesso, ma si è concretizzata in una mera dichiarazione di insofferenza, come tale inidonea a ledere il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 594 c.p. Pertanto, sentenza annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Cassazione, sentenza n. 35027/2015