di Lucia Izzo - Integra "trattamento di dati personali", ex art. 4, lett a) e b), d.lgs. 196/2003, l'attività di videosorveglianza svolta dal titolare di un'attività commerciale nel proprio locale, pertanto costui commette violazione della privacy se non ottempera all'obbligo di informativa nei confronti della clientela collocando apposito cartello nel locale ove è istallata la videocamera.
La II sezione Civile della Corte di Cassazione ha svolto nella sentenza 17440/2015 (qui allegata) alcune precisazioni circa il trattamento dei dati personali ed i necessari obblighi da ottemperare per non incorrere in una violazione normativa.
Nel corso di un'attività di controllo amministrativo svolta dagli agenti del Commissariato locale, veniva rilevata la presenta all'interno di un negozio di una telecamera collegata ad un monitor utilizzata dal titolare dell'attività per sorvegliare l'accesso dei clienti.
L'assenza dell'apposito cartello previsto dall'art. 13 del decreto legislativo n. 196/2003 faceva scattare la sanzione amministrativa prevista dall'art. 161 del decreto stesso.
Si difendeva il legale rappresentante del negozio affermando l'esclusiva funzione di sicurezza del dispositivo che non provocava alcuna violazione della normativa sulla privacy, come poi confermato dall'adito Tribunale territoriale che ha qualificato la videosorveglianza effettuata dall'esercizio commerciale come "trattamento", senza che ciò integrasse gli estremi della definizione di "dato personale" secondo la normativa vigente.
Nessuna violazione, quindi, delle garanzie di protezione previste dal Codice della privacy, poiché le modalità di raccolta erano limitate nel tempo e specifiche nella loro finalità.
I giudici di legittimità, a seguito del ricorso proposto dall'Autorità per la protezione dei dati personali sono di tutt'altro avviso e ritengono sussistenti nel caso di specie, entrambi gli elementi che l'art. 13 ritiene necessari per l'obbligo di informativa.
Da un lato il trattamento, che consiste nella raccolta delle immagini degli avventori del locale riprese da una telecamerina non segnalata, dall'altro il dato personale, poiché, per integrare questa nozione, non è necessario che all'immagine si accompagni la notorietà o delle indicazioni identificative che portino al riconoscimento della persona ritratta (come affermato dai giudici di merito).
Si tratta, invero, di dato immediatamente idoneo ad identificare una persona e non può dubitarsi che anche l'immagine di una persona, in sé considerata, quando venga in qualche modo visualizzata o impressa, integri il "dato personale" ai sensi del "codice privacy" (Cass. n. 14346 2012).
In particolare, per la videosorveglianza senza registrazione, come nel caso di specie, se le immagini sono unicamente visionate in tempo reale oppure conservate solo per poche ore mediante impianti a circuito chiuso (Cctv), posso essere tutelati legittimi interessi rispetto a concrete ed effettive situazioni di pericolo per la sicurezza di persone o beni, anche quando si tratta di esercizi commerciali esposti ai rischi di attività criminale in ragione della detenzione di denaro, valori o altri beni.
Tuttavia, la ricorrenza di condizioni legittimanti l'attività di videosorveglianza, comporta l'assoggettamento dell'attività al contestuale obbligo di informativa previsto dall'art. 13 del d.lgs. 196/2003 e precisamente gli interessati dovranno essere informatiche stanno per accedere o che si trovano in una zona video sorvegliata e dell'eventuale registrazione (anche in caso di spettacoli pubblici o attività pubblicitarie).
Pertanto, i giudici accolgono il ricorso del Garante rigettando l'opposizione del negoziante.
Cass., II sez. Civ., 17440_2015