- La famiglia per il diritto di abitazione
- Diritto di abitazione: limiti
- Il diritto di abitazione è pignorabile?
- Come si costituisce il diritto di abitazione
- Diritto di abitazione: valore
- Il coniuge separato
- Quando decade il diritto di abitazione
La famiglia per il diritto di abitazione
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Il diritto d'abitazione è regolato dagli articoli 1022 e seguenti del codice civile, che ne dettano la disciplina e i limiti.
Trattandosi di un diritto teso a soddisfare gli interessi del titolare e dei suoi familiari, prima di addentrarci nell'analisi dell'istituto è opportuno chiarire quale sia la nozione di famiglia rilevante per l'esercizio dello stesso. A dircelo è l'articolo 1023 del codice civile, che precisa che in tale nozione vanno ricompresi anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto, quantunque nel tempo in cui il diritto è sorto la persona non avesse contratto matrimonio, ed anche i figli adottivi, i figli riconosciuti e gli affiliati, anche se l'adozione, il riconoscimento o l'affiliazione sono seguiti dopo che il diritto era già sorto. Si comprendono, infine, le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi.
Diritto di abitazione: limiti
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Venendo ai limiti, possiamo rilevare innanzitutto che l'abitazione è un diritto di natura strettamente personale, il che comporta che la titolarità e il godimento dell'immobile che ne costituisce l'oggetto spettano unicamente all'habitator e alla sua famiglia, che potranno alloggiarvi limitatamente ai propri bisogni (cfr. Cass. n. 2769/1953).
Tuttavia, la destinazione dell'abitazione ai bisogni del titolare e della sua famiglia, lungi dal poter essere intesa in senso quantitativo, va letta esclusivamente come divieto di destinare la casa a utilizzazioni diverse da quelle consistenti nell'abitazione diretta da parte dell'"habitator" e dei suoi familiari (cfr. Cass., sent. 14687/2014).
Sempre con riferimento ai limiti, va poi detto che la dottrina è pressoché unanime nel riconoscere la spettanza del diritto di abitazione solo a persone fisiche, escludendo quindi le persone giuridiche, in ragione dei particolari bisogni abitativi che l'istituto tende a soddisfare.
Oggetto del diritto
È opinione comune in dottrina e giurisprudenza che il diritto di abitazione possa fare riferimento unicamente a un immobile che presenti requisiti di abitabilità, ossia idoneo a fornire un alloggio.
Inoltre, esso va esteso a tutto ciò che concorre a integrare la casa che ne è oggetto sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa, ecc), in quanto l'abitazione non è costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria; in virtù del combinato disposto degli artt. 983 e 1026 c.c., il diritto in esame si estende anche alle accessioni (cfr. Cass., 2335/1981).
L'abitazione si considera affine all'uso, poiché entrambi, essendo diritti personalissimi, non si possono cedere o dare in locazione (art. 1024 c.c.), ma neppure si può ritenere l'abitazione una specificazione dell'uso avente ad oggetto un'appartamento per abitarvi: l'habitator non ha alcun diritto ai frutti e non può, a differenza dell'usuario, usare la casa in modi diversi rispetto al semplice alloggio, come adibirla a magazzino, ufficio, deposito, ecc.
Secondo l'art. 1025 c.c., l'habitator ha, inoltre, il diritto di abitare l'immobile per la porzione necessaria ai suoi bisogni e, se occupa tutta la casa, è tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi come l'usufruttuario.
Se non raccoglie che una parte dei frutti o non occupa che una parte della casa, contribuisce in proporzione di ciò che gode (per approfondimenti sul rapporto tra usufrutto, uso e abitazione leggi la guida: I diritti di usufrutto, uso e abitazione e l'espropriazione forzata).
Il diritto di abitazione è pignorabile?
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L'immobile su cui grava un diritto di abitazione può essere pignorato, tuttavia il pignoramento non può estendersi al diritto di abitazione. Quest'ultimo, infatti, è impignorabile.
Come si costituisce il diritto di abitazione
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Il diritto d'abitazione ha natura reale e può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata ai sensi dell'art. 1350 n. 4 c.c. (cfr. Cass. n. 4562/1990).
Il codice civile prevede, all'articolo 540, un'unica ipotesi di costituzione legale del diritto di abitazione precisando che al coniuge del defunto, anche quando questi concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano. Ciò avviene per tutelare le abitudini di vita del coniuge rimasto in vita ed evitargli l'ulteriore danno, psicologico e morale, che potrebbe derivare dal dover abbandonare l'alloggio abituale.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, nel ricordare che nella successione legittima al coniuge del de cuius spettano i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano previsti dall'art. 540 c.c., ha chiarito che il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall'asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest'ultimo tra tutti i coeredi, secondo le norme sulla successione legittima, non tenendo conto dell'attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato (cfr. Cass., SS.UU. 4847/2013).
Diritto di abitazione: valore
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A tale ultimo proposito va precisato che il valore del diritto di abitazione, secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 14406/2018, può essere calcolato avvalendosi dei criteri utilizzati per determinare il valore dell'usufrutto. Ciò in quanto "le utilità ritraibili dall'usufruttuario appaiono sostanzialmente identiche a quelle che puà trarre l'abitatore".
Il coniuge separato
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La costituzione ex lege del diritto di abitazione sulla casa coniugale in capo al coniuge del defunto ha fatto sorgere dei dubbi circa l'estensione di tale previsione anche al coniuge separato.
A risolvere le controversie interpretative sul tema è intervenuta la Corte di cassazione, che ha stabilito che "la ratio della disposizione codicistica è da rinvenire non tanto nella tutela dell'interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell'interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio". Di conseguenza, in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare al momento dell'apertura della successione fa venir meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione del diritto reale di abitazione al coniuge superstite (cfr. Cass. n . 22456/2014).
Quando decade il diritto di abitazione
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Resta infine da dire che il diritto di abitazione perdura sino a che non si verifica uno di tali eventi:
- morte del titolare
- rinuncia del titolare
- scadenza del termine previsto dall'atto con il quale è stato costituito
- perimento del bene
- prescrizione
- consolidamento.
Si precisa che si ha consolidamento quando si riuniscono in capo alla stessa persona sia il diritto di abitazione che il diritto di proprietà.