di Valeria Zeppilli - Del trattamento illecito dei dati personali non risponde esclusivamente il titolare del trattamento: l'addebito del comportamento, infatti, è ascrivibile a chiunque venga in possesso dei dati e causi, in conseguenza del loro utilizzo, un danno al titolare.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 17547/2015 depositata il 3 settembre scorso (qui sotto allegata), chiamata a pronunciarsi sulla fattispecie del presunto (e infine negato) spionaggio dell'Inter in danno dell'arbitro De Santis, collegata alla ben nota questione "Calciopoli".
La S.C. ha sancito che il trattamento cui si riferisce il Codice della privacy consiste in qualsiasi attività che comporti l'acquisizione e l'uso dei dati, anche attraverso il profilo della committenza.
Per i giudici di legittimità, dunque, l'illecito trattamento dei dati personali è imputabile a chiunque lo abbia compiuto, indipendentemente dal ruolo formale di responsabile ricoperto.
La Corte ha colto l'occasione per precisare che, in ogni caso, la responsabilità riconosciuta in ipotesi di utilizzo illegittimo dei dati personali è quella di cui all'articolo 2050 c.c., come previsto dall'articolo 15 del d.lgs. n. 196/2003.
Si tratta, in sostanza, della responsabilità relativa all'esercizio di attività pericolose, con la conseguenza che la sua configurabilità necessita dell'allegazione e della dimostrazione di un pregiudizio conseguente al trattamento illecito.
Pertanto, solo dopo che il presunto danneggiato abbia provato il danno e il nesso causale che lo lega alla condotta dell'agente, quest'ultimo sarà tenuto a provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.