Il destino dei contratti di locazione conclusi in forma orale dopo i due interventi della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 169, depositata il 16.07.2015, è tornata ad occuparsi dei contratti di locazione c.d. "in nero".

Con una tanto prevedibile quanto corretta decisione ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 comma 1-ter del D.L. 28.03.2014 n. 47, che aveva protratto gli effetti dell'art. 3 commi 8 e 9 della D.L.vo n. 23 del 14.03.2011, nonostante tali disposizioni fossero state dichiarate illegittime con la sentenza n. 50 del 10.03.2014. 

Ma guardiamo un po' indietro per fare chiarezza.

A seguito dell'emanazione del D.L.vo 23/2011, era stata prevista una forte sanzione per scoraggiare la stipula di contratti di locazione in nero: la possibilità di effettuare una denunzia all'Agenzia delle Entrate, a seguito della quale veniva riconosciuto al conduttore un periodo di locazione pari a 4 + 4 anni e un canone di locazione molto ridotto, pari al triplo della rendita catastale.

L'Agenzia delle Entrate, di fatto, provvedeva alla registrazione non solo dei contratti scritti e non registrati o registrati per un importo inferiore ma, con una non lieve forzatura, anche dei contratti conclusi in forma orale, malgrado la L. 431/98 avesse comminato la nullità a tali contratti per difetto del requisito di forma scritta.

Diverse decisioni di merito avevano avallato l'interpretazione di cui sopra ma, molte altre (tra cui, Tribunale di Roma, sent. n. 21287 del 24.10.2013), si erano attenute ad un'interpretazione sistematica del dato normativo: la forma scritta non è prevista espressamente a pena di nullità, così come indicato nell'art. 1325 c.c. ma, come affermato dalla Corte di Appello di Roma (Sentenza 12/05/2010 n. 1424), sulla base della c.d. regola di qualificazione di cui all'art.1352 c.c., in difetto di univoche prescrizioni, la forma deve intendersi imposta per la validità del contratto e cioè a pena di nullità piuttosto che ad probationem, cioè come mezzo di prova per dimostrare l'esistenza del contratto.

Erano pertanto da considerarsi privi di validità, poichè carenti della forma scritta prevista dalla legge n. 431/98, i rapporti di locazione abitativa concordati verbalmente, nonostante l'intervenuta registrazione e il relativo pagamento dell'imposta di registro eventualmente evasa.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 50/2014, ha risolto in maniera netta la questione dichiarando incostituzionali i commi 8 e 9 dell'art. 3 del D.L.vo n. 23/2011, che prevedevano, tra l'altro, la possibilità per il conduttore di denunziare di aver stipulato un contratto di locazione in forma orale, usufruendo di alcuni benefici non di poco conto: durata della locazione stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; disciplina di rinnovo ex art. 2, comma 1, legge 431/1998; canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale.

Senonchè il legislatore, come spesso accade, aveva tentato di far rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta, prevedendo, al comma 1-ter dell'art. 5 del D.L. n. 50/2014 la salvezza, fino alla data del 31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.

Ciò ha richiesto un nuovo intervento della Consulta, che, con la sentenza n. 169/2015, ha dichiarato l'incostituzionalità anche di tale norma, non potendo il legislatore emanare un nuovo atto diretto esclusivamente a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l'efficacia di norme che non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.

Ne consegue che il proprietario è pienamente legittimato ad agire nei confronti dell'occupante al fine di ottenere il rilascio dell'immobile ed il risarcimento per il godimento dello stesso.


Avv. Assunta Giordano - Altri articoli di questo autore
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