di Marina Crisafi - Un processo caratterizzato da un iter senza dubbio "ondivago", conseguenza delle "clamorose defaillance" investigative, ma anche delle "colpevoli omissioni nell'attività di indagine" e dei riflessi mediatici della vicenda, il cui inusitato "clamore" non ha certamente giovato "alla ricerca della verità". Sono queste le parole con cui i giudici della Suprema Corte di Cassazione, come riportato oggi dall'Ansa, hanno spiegato la sentenza di assoluzione "per non aver commesso il fatto" (pronunciata il 27 marzo scorso) di Raffaele Sollecito e Amanda Knox dall'accusa di omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher avvenuto il 1° novembre 2007.
Ad avviso degli Ermellini, senza tali concomitanti ragioni, nell'ambito del processo si sarebbe potuto delineare un "quadro, se non di certezza, quanto meno di tranquillante affidabilità, nella prospettiva vuoi della colpevolezza vuoi dell'estraneità" della Knox e del Sollecito rispetto ai fatti di Perugia.
Sta di fatto, si legge nelle 52 pagine della sentenza n. 36080/2015 depositata oggi dalla S.C., che indubbiamente "pregnante", nell'esclusione di entrambi alla partecipazione materiale all'omicidio, è stata la "assoluta mancanza di tracce biologiche" agli stessi riferite sia nella stanza dell'omicidio che sul corpo della vittima (fatta eccezione per la traccia biologica del "gancetto" del reggiseno della vittima, la cui riconducibilità a Raffaele Sollecito è stata ritenuta priva di "certezza alcuna"), a differenza invece delle "numerose tracce riferibili al Guede", l'uomo condannato in via definitiva (con rito abbreviato) a 16 anni di carcere per l'omicidio di Meredith "in concorso".