di Marina Crisafi - Le norme italiane che, nei casi di reati gravi in materia di Iva, impediscono di infliggere le sanzioni a causa di un regime di prescrizione troppo breve, ledono gli interessi finanziari dell'Unione Europea. I giudici perciò sono chiamati a disapplicarle e consentire le sanzioni. Questo è quanto emerge dalla sentenza n. C105/14 depositata oggi dalla Corte di Giustizia europea (qui sotto allegata) intervenuta su un caso di frode Iva (c.d. frode carosello) ai danni dello Stato italiano (relativa a operazioni commerciali su champagne del valore di diversi milioni di euro), nel quale gli imputati non potevano essere sanzionati per via dell'intervenuta prescrizione per una parte dei reati e di quella imminente per i reati residui.
Attivatasi su richiesta del tribunale di Cuneo, investito del procedimento, la Corte ha quindi rammentato che, secondo l'articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell'Unione (TFUE), gli Stati membri sono tenuti a coordinare le azioni dirette a tutelare l'Unione dalle frodi, mettendo in campo, contro gli illeciti lesivi degli interessi finanziari UE, le medesime misure dissuasive ed effettive che adottano per lottare contro i reati lesivi dei propri interessi interni.
Per cui, laddove il giudice italiano dovesse ravvisare, in una fattispecie portata alla sua attenzione, un caso di frode grave in grado di ledere gli interessi dell'Europa, e dunque una violazione dell'art. 325 del trattato, dovrà garantire la piena efficacia del diritto dell'unione, anche "disapplicando, all'occorrenza, le norme sulla prescrizione controverse".
Corte Giustizia Europea, sentenza n. C105/14