Per i giudici, infatti, i rapporti sottostanti gli accrediti e gli addebiti sul conto corrente possono essere censurati indipendentemente dalla circostanza che il cliente abbia contestato gli estratti conto.
L'articolo 1832 c.c., del resto, prevede che l'approvazione del conto non preclude di impugnarlo per errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o per duplicazioni: essa, infatti, fa fede solo sulle poste e sul saldo.
Così la banca è stata condannata innanzitutto per applicazione indebita di interessi ultralegali, mai pattuiti per iscritto con il cliente.
È stata condannata, poi, perché la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi non può essere giustificata per i contratti bancari stipulati, come quello oggetto di causa, prima dell'entrata in vigore della delibera Cicr del 9 febbraio 2000, in assenza di un uso normativo che legittimi una deroga alle previsioni dell'articolo 1283 c.c. in materia di anatocismo: la clausola che la prevede è, pertanto, nulla.
Oltretutto, poiché il contratto analizzato dai giudici era stato stipulato prima delle modifiche del 2009 e del 2012 in materia, l'istituto di credito è stato infine condannato per aver applicato le commissioni di massimo scoperto e ulteriori spese senza espressamente pattuirle, come previsto quando esse erano subordinate nella loro validità al rispetto di requisiti di determinatezza o determinabilità dell'onere aggiuntivo imposto al cliente.