Questa è la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione, nell'analizzare il caso di un legale rappresentante di una società per azioni che aveva impugnato un sequestro disposto nei suoi confronti per eccesso di compensazione dei propri crediti nei confronti del Fisco.
In sostanza i giudici, con la sentenza n. 36393, depositata il 9 settembre 2015 (qui sotto allegata), hanno ribadito che ai fini della configurabilità del reato tributario di indebita compensazione deve intendersi non spettante il credito che sia certo nella sua esistenza e di esatto ammontare ma non possa essere utilizzato, per qualsiasi ragione normativa, in operazioni finanziarie in compensazione nei rapporti tra contribuente e erario.
Più precisamente, la norma punisce la condotta di chi utilizzi in compensazione nelle dichiarazioni di imposta crediti non spettanti o inesistenti per un ammontare superiore a cinquantamila euro.
Mentre, tuttavia, è agevole individuare i crediti inesistenti, lo stesso non può dirsi per i crediti non spettanti, in quanto tale concetto non può ricondursi a quello di mera non spettanza soggettiva o alla pendenza di una condizione al cui avveramento sia subordinata l'esistenza del credito, ma, per la Corte, deve essere inteso come non spettante quel credito che non sia utilizzabile nei rapporti con il Fisco per qualsiasi ragione normativa.
Nel caso di specie, il riferimento va all'articolo 34 della legge numero 988 del 2000 che prevede espressamente che se, come nel caso di specie, supera Euro 516.456,90 (limite successivamente elevato a Euro 700.000,00) il credito non può essere compensato ma deve essere chiesto a rimborso o postergato in compensazione l'anno successivo.
In sostanza, esso, pur certo e determinato, non è ancora esigibile.
Corte di cassazione testo sentenza numero 36393/2015