Avv. Marcella Ferrari - marciferrari@gmail.com Il ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali trova la propria disciplina nel d. lgs. 231 del 2002 adottato in attuazione della direttiva 2000/35/CE. Il sintagma "transazioni commerciali", utilizzato in sede comunitaria, va inteso in senso atecnico e si riferisce ai contratti che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo[1].
La normativa europea si prefigge l'obiettivo di tutelare il creditore nel caso in cui questi non riceva il corrispettivo nei tempi dovuti. Si mira ad evitare il ripetersi di abusi[2] da parte del debitore. Le modalità adottate dal legislatore per raggiungere tale risultato si sostanziano nell'aumento dei tassi di mora, nel risarcimento del danno subito dal creditore e nello snellimento del processo esecutivo.
Il problema del ritardo nei pagamenti riguarda segnatamente la contrattazione con la pubblica amministrazione i cui ritardi, spesso, sono stati una concausa del dissesto di molte imprese.
La normativa prevede l'applicazione di un tasso di interessi elevato e l'automatica decorrenza degli stessi senza necessità della previa messa in mora[3]. Nondimeno la disciplina in commento è dispositiva e quindi derogabile dalle parti. Invero taluni hanno parlato di una disciplina dispositiva rafforzata[4]. L'art. 7 del d. lgs. 231/2002, infatti, prevede una forma di nullità volta a colpire gli accordi tra le parti aventi ad oggetto la data del pagamento e del conseguente ritardo[5]. Al di fuori di questi due aspetti, le parti possono derogare convenzionalmente alla disciplina normativa e la libertà contrattuale dei contraenti rimane inalterata. Il "rafforzamento" consiste dunque nella comminatoria della nullità. In particolare, il citato art. 7 colpisce le clausole contrattuali considerate gravemente inique a danno del creditore ed oltre alla nullità dispone l'integrazione legale delle clausole nel contratto ai sensi dell'art. 1339 c.c.
In materia, stante la recrudescenza del fenomeno del ritardo nei pagamenti, è intervenuta la direttiva 2011/7/UE la quale ha differenziato la disciplina applicabile a seconda che i contratti riguardino solo le imprese o le imprese e le PP.AA. Il d. lgs. 231/2002 è stato modificato dal d. lgs. 192/2012. Adesso nella definizione di pubblica amministrazione[6] rientra anche l'amministrazione aggiudicatrice. Tale espressa menzione dirime i dubbi esegetici sorti nel tempo circa l'applicabilità della normativa anche agli appalti pubblici; allo stato attuale, anche nel caso in cui si tratti di servizi pubblici, l'impresa privata potrà fruire delle norme sul ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali.
Circa i termini di pagamento, l'art. 4 d. lgs. 231/2002 come modificato dal d. lgs. 192/2012 e dalla legge 161/2014 così dispone: le imprese private devono ricevere il corrispettivo entro trenta giorni dalla consegna del bene o dalla prestazione del servizio. Il dies a quo decorre[7] rispettivamente 1) dalla data di ricevimento della fattura o dalla richiesta di pagamento del creditore; 2) dalla consegna della merce o dalla prestazione del servizio; 3) dalla data di accettazione della merce o del servizio.
La suddetta disciplina, come sopra ricordato, è dispositiva ma rafforzata. Le parti, infatti, possono derogarvi con dei limiti. Il termine di adempimento può essere portato sino a 60 giorni (ma non oltre) ed è richiesta la forma scritta ad probationem. Naturalmente questa clausola, come le altre, rimane soggetta al limite della grave iniquità di cui all'art. 7.
Nel caso di imprese che abbiano concluso contratti con le PP.AA., la disciplina sui termini di pagamento è inderogabile, un termine maggiore è ammesso solo allorché dipenda dalla natura dell'oggetto o dalle circostanze.
Il d. lgs. 192/2012 ha aumentano la misura del tasso di mora[8] con un palese intento sanzionatorio; in tal senso deve vedersi anche l'ulteriore aggravio di 40,00 euro disposto per ogni giorno di ritardo a titolo di risarcimento delle spese di recupero (art. 6 d. lgs. 231/2002).
Inoltre, il nuovo articolo 7 bis, introdotto dalla legge europea 2013 bis[9], prevede altresì il risarcimento del danno che va ad aggiungersi alla comminatoria di nullità per le predette clausole. In particolare, la norma prevede un diritto del creditore alla pretesa risarcitoria allorché le clausole relative al tasso di interesse o al risarcimento per i costi di recupero risultino gravemente inique. La valutazione sull'iniquità va effettuata alla luce dei parametri indicati dal legislatore, quali lo scostamento dalla prassi commerciale in violazione dei principi di buona fede e correttezza e altri indicatori menzionati dall'art. 7 c. 2 d. lgs. 231/2002
Avv.to Marcella Ferrari - marciferrari@gmail.com
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Note:
[1] Così si evince dalla definizione contenuta nel d. lgs. 231/2002 all'art. 2 lett. a.
[2] Abuso inteso come limitazione della libertà contrattuale del creditore. La sua autonomia contrattuale, infatti, risulta compromessa allorché il potere economico di una delle parti si traduca in un abuso di potere contrattuale. In tal senso vedasi: BENEDETTI, CANEPA, GRONDONA, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Lex Nova, collana diretta da Vincenzo Roppo, Torino, Giappichelli, 2003, 4 ss.
[3] Art. 4 c. 1 d. lgs. 231/2002
[4] Di disciplina normativa rafforzata parlano BENEDETTI, CANEPA, GRONDONA, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, cit.
[5] Art. 7 c. 1: «Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.»
[6] Art. 2 lett. b) del d. lgs. 231/2002
[7]Art. 4. Termini di pagamento
(articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 192 del 2012; rubrica così sostituita dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 161 del 2014)
1. Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.
2. Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, il periodo di pagamento non può superare i seguenti termini:
(alinea così sostituito dall'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 161 del 2014)
a) trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento;
b) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
c) trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;
d) trenta giorni dalla data dell'accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell'accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.
[8] È considerata gravemente iniqua la clausola che escluda il tasso di mora: si tratta di una presunzione assoluta a cui consegue la nullità rilevabile d'ufficio
[9] Legge 30 ottobre 2014 n. 161