di Lucia Izzo - È inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell'avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale o del mancato riconoscimento di spese che si asseriscono essere state documentate, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice, precisate le voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violate, nonché le singole spese asseritamene non riconosciute.
Lo ha confermato la Sesta sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18190/15 (qui sotto allegata) a seguito del ricorso presentato da un avvocato che aveva difeso, dinanzi al Tribunale militare di Roma, 23 parti civili, appartenenti ai nuclei familiari di nove vittime della strage di Nassiriya, ammessi al patrocinio speciale a spese dello Stato ex art. 10 legge n. 206/2004.
La professionista lamenta l'inadeguatezza dell'importo liquidatole a titolo di onorario, proponendo dapprima opposizione avverso tale decreto e, in seguito ricorso dinanzi alla Suprema Corte.
I giudici del Palazzaccio, tuttavia, non ritengono accoglibili le doglianze della professionista poiché nel ricorso si è limitata unicamente a ribadire che la causa del giudizio presupposto era di notevole importanza e che le questioni giuridiche trattate erano particolarmente complesse.
Manca, quindi, il necessario requisito della specificità, atteso che la somma che la donna ritiene debba effettivamente spettarle, è priva di una dettagliata indicazione delle voci della tariffa che sarebbero state omesse dal giudice e della elencazione delle prestazioni effettuate, elementi che avrebbero consentito ai giudici della Corte una verifica senza necessariamente ricorrere all'esame degli atti.
In aggiunta, gli Ermellini rilevano che la valutazione espressa dal giudice della liquidazione è adeguatamente motivata ed esente da vizi, riportando analiticamente i conteggi in base ai quali è stato liquidato il compenso alla ricorrente e le ragioni per le quali si è ritenuto di non attribuire compensi e rimborsi per le prestazioni che la donna ha invece indicato in aggiunta.
È escluso che la professionista abbia ricevuto una cifra sproporzionatamente inadeguata rispetto all'attività prestata e documentata, così come è escluso parimenti che la liquidazione possa (come invece ritenuto dalla donna) arrecare un vulnus al diritto di difesa delle persone da lei assistite.
Il ricorso va quindi rigettato.
Cass., VI sez. Civile, sent. 18190/15