Secondo la Corte di Cassazione, infatti, è il contribuente a dover dimostrare la natura dei movimenti dubbi, senza che l'amministrazione finanziaria possa farsi carico del relativo onere.
Per quest'ultima, infatti, l'onere probatorio è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari.
Della questione, più nel dettaglio, i giudici di via Cavour si sono interessati con l'ordinanza numero 18125/2015 depositata il 15 settembre (qui sotto allegata), nella quale hanno sancito che l'onere del contribuente deve peraltro essere assolto attraverso una prova analitica e idonea a dimostrare come ciascuna operazione sia estranea a fatti imponibili
A tal fine, è ammissibile anche il ricorso alle presunzioni semplici, purché esse siano sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, tesa ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti.
Invece, nel caso di specie, pur volendo conferire rilevanza alla circostanza che il suo conto era cointestato, il contribuente si è tuttavia limitato ad affermazioni generiche sull'autonomia gestionale del cointestatario e sul fatto che questi era titolare di svariati immobili, di investimenti in fondi comuni, di titoli obbligazionari e di pronta liquidità sul conto corrente, senza fornire allegazioni esaustive correlate a precisi e puntuali rimandi alle singole operazioni riferibili al cointestatario.
Così, in applicazione dei predetti principi, la Corte non ha potuto far altro che rigettare il ricorso del contribuente relativo a un avviso con il quale era stata accertata a suo carico, per l'anno di imposta 2004, una maggiore Irpef a seguito di indagine finanziaria su conti correnti bancari.
Corte di cassazione testo ordinanza numero 18125/2015