di Marina Crisafi - Lei compra la casa dove abita insieme al compagno e lui versa, in nero, al venditore 170mila euro, per aiutare la donna a concludere l'acquisto. Poi la relazione finisce e l'uomo richiede indietro alla ex i soldi versati per l'appartamento rimasto di proprietà della donna.
Per la Cassazione, la richiesta è legittima, in quanto l'esborso effettuato - considerato il "menage" patrimoniale della coppia e la situazione specifica dell'uomo, il quale era titolare di una pensione di 2.300 euro al mese e aveva dovuto vendere anche titoli e azioni per fronteggiare la spesa - risulta ingente e dunque non può essere riconducibile nell'ambito delle obbligazioni naturali nascenti dalla famiglia di fatto.
In questi casi, si legge nella sentenza n. 18632/2015 depositata ieri dalla Suprema Corte (qui sotto allegata), dovendo escludersi l'ipotesi del "contratto a favore di terzo", in quanto non c'era la prova di tale accordo con il venditore, è applicabile "l'azione di arricchimento".
Per i giudici di piazza Cavour, infatti, tale azione generale ha come presupposto "la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa" mentre non può invocarsi la mancanza o l'ingiustizia della causa "qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale".
Nel caso di specie, ha quindi sancito la S.C., è possibile ritenere configurata "l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro, in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dalla convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e adeguatezza".
Per cui, ricorso rigettato e donna condannata a restituire il denaro.
Cassazione, sentenza n. 18632/2015