di Marina Crisafi - Nessuna libera uscita per il fedele ai domiciliari che chiede di potersi recare in chiesa per ascoltare la messa. I bisogni spirituali sono primarie esigenze di vita che grazie alla tecnologia possono soddisfarsi anche a casa, davanti alla tv, mentre i domiciliari rimangono intoccabili. Questo il sunto della decisione della Cassazione che, con la sentenza n. 38733/2015 depositata ieri (qui sotto allegata), ha rigettato il ricorso di un uomo agli arresti domiciliari che aveva chiesto la sostituzione della misura con una meno afflittiva ovvero un permesso quotidiano per recarsi in una chiesa vicina per un paio d'ore.
Per il Palazzaccio, infatti, va confermata la linea dura adottata dal tribunale del riesame, il quale nel rigettare le istanze dell'uomo ha fatto buon governo dei principi già espressi dalla S.C., riconoscendo che sebbene non possa escludersi che "le indispensabili esigenze di vita" di cui al terzo comma dell'art. 284 c.p.p. possano riguardare "bisogni non solo materiali, ma anche spirituali, nel cui ambito potrebbe rientrare la soddisfazione bisogni di natura religiosa, tuttavia occorre considerare il disposto di cui all'art. 277 c.p.p., che nel prevedere che le misure cautelari salvaguardino i diritti della persona, subordina il loro rispetto alla compatibilità con le esigenze cautelari".
Per cui, ha affermato la Corte, deve ritenersi legittima, nei confronti di una persona sottoposta al regime detentivo, la limitazione dei diritti e delle facoltà "normalmente spettanti ad ogni persona libera, quando detta limitazione non dia luogo ad una loro totale soppressione e per altro verso sia finalizzata a garantire le esigenze cautelari".
E nel caso concreto, data la presenza di esigenze cautelari che impongono la restrizione dell'uomo ai domiciliari, il diniego all'autorizzazione straordinaria per andare in chiesa non compromette, secondo gli Ermellini, alcuna indispensabile esigenza di vita. Anche perché, hanno ribadito, non può non tenersi conto del fatto che l'evoluzione della tecnologia "consente di osservare il precetto canonico anche attraverso modalità diverse dalla diretta partecipazione al culto, ad esempio attraverso l'utilizzo del mezzo televisivo, come peraltro fanno gli infermi costretti a rimanere allettati in ambito ospedaliero o domiciliare".
Per cui, hanno concluso da piazza Cavour rigettando il ricorso, all'uomo non è stato certo negato, come invocato dalla difesa, il diritto costituzionale di professare liberamente la propria fede religiosa, posto che lo stesso potrà comunque appagare i bisogni dello spirito anche a casa.
Cassazione, sentenza n. 38733/2015