La depressione puo' essere 'giustificato' motivo per fare aprire le porte del carcere. Lo ha sancito la Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di un detenuto che chiedeva le misure alternative alla detenzione in carcere a causa della forte 'depressione' determinata dalla reclusione nell'istituto penitenziario. Per la Suprema Corte, 'la sindrome ansioso-depressiva puo' costituire causa di differimento della pena quando assuma aspetti di tale gravita' da non essere fronteggiabile in ambiente carcerario'. Di diverso avviso il Tribunale di sorveglianza di Torino che, nel marzo scorso, aveva negato i domiciliari ad Antonio F., rilevando che 'la sindrome depressiva, pure di significativa gravita', non era in grado di porre in pericolo di vita il detenuto' e che 'ai sensi dell'art. 147 comma 1 n. 2 c.p. non sussisteva nessuna delle due condizioni che consentivano il differimento dell'esecuzione della pena (prognosi infausta per la vita o cure che non possono essere praticate in carcere)'. Contro il no agli arresti domiciliari, il detenuto ha presentato ricorso in Cassazione evidenziando come la 'forte depressione' gli avesse provocato anche un calo di peso 'oltre trenta chili'. La Quinta sezione penale (sentenza 35741/04) ha accolto il ricorso del detenuto, sottolinenando che 'la sindrome ansioso-depressiva puo' costituire causa di differimento di pena quando assuma aspetti di tale gravita' da non essere fronteggiabili in ambiente carcerario'. Sara' ora il Tribunale di sorveglianza torinese a rivalutare il caso, considerando se la 'depressione' del detenuto sia tale da fare si' che 'l'espiazione della pena appaia contraria al senso di umanita' per le eccessive sofferenze da essa derivanti'.
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