di Lucia Izzo - Ai fini del calcolo del compenso dovuto al procuratore difensore, non rileva come espressione del valore della causa, la somma al cui pagamento il cliente ammesso al patrocinio a carico dello Stato, è stato condannato.
Bisogna, invece, fare riferimento ai danni inizialmente richiesti poiché il decisum costituisce parametro di riferimento per la determinazione del valore della controversia da porre a base della liquidazione dell'onorario solo nei rapporti tra parte vittoriosa e quella soccombente.
Lo precisa la Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 19588/2015 (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un avvocato che aveva difeso e rappresentato un cliente ammesso al patrocinio dello Stato.
Il professionista si oppone alla decisione del Tribunale di Livorno lamentando l'ingiustificata decurtazione delle proprie spettanze (richiesti euro 28.808,14 e liquidati euro 6.131,25), ma ottiene solo un parziale accoglimento delle sue richieste.
Parte attrice sostiene che i giudici hanno sbagliato a ritenere che il valore della controversia corrispondesse alla somma al cui pagamento il proprio cliente era stato condannato, non avendo applicato correttamente il comma secondo dell'art. 6 del D.M. 127/2004, il quale consente di tener conto del valore effettivo della controversia allorché sia manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice civile.
Aggiunge l'avvocato che neppure era stato tenuto conto del comma quarto dell'art. 82 d.P.R. n. 115/2002 che, qualora vi sia necessità di identificazione del valore effettivo della controversia, fa obbligo al giudice di tener conto anche del valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti.
Il ricorrente giunge a tali conclusioni poiché il proprio cliente era stato accusato dal'allora parte attrice di aver emesso fatture per operazioni inesistenti, con la richiesta di restituire le somme indebitamente percepite e quelle di cui si sarebbe appropriato quale presidente della società nonché di risarcire il danno.
Richiesta economica che superava il milione e mezzo di euro oltre somme dovute per sanzioni tributarie e che giustificava appieno l'interesse del cliente a respingerle e a difendersi.
Gli Ermellini chiariscono che, quanto all'ambito di applicazione del concetto di "valore presunto a norma del codice di procedura civile" (di cui al secondo comma art. 6 D.M. 127/2004), la giurisprudenza di legittimità ha espresso due orientamenti: il primo che consente al giudice di guardare piuttosto al valore effettivo della controversia in riferimento soltanto alle cause per le quali si proceda alla determinazione presuntiva del valore in base a parametri legali, dovendosi in caso contrario far riferimento al criterio stabilito dall'art. 10 c.p.c.; il secondo, diverso e più recente, ha ritenuto che il richiamo al "valore presunto" intende semplicemente riferirsi a tutte le regole dettate dal codice di rito, ivi comprese quella ex artt. 10 e 14 c.p.c., correlate all'indicazione del quantum nella domanda nelle cause relative a somme di denaro o beni mobili, per la determinazione del valore della controversia attribuendo al giudice una generale facoltà discrezionale.
Il collegio preferisce la prima linea interpretativa, che consente di pervenire al medesimo risultato di equa proporzionalità anche conservando l'ossequio al dato letterale del concetto di valore presunto per legge.
Il Tribunale ha però sbagliato a disattendere il costante indirizzo interpretativo che considera il decisum parametro di riferimento per la determinazione del valore della controversia da porre a base della liquidazione dell'onorario solo nei rapporti tra la parte vittoriosa e quella soccombente.
Infatti, nel caso concreto, la parte difesa dall'avvocato, essendo convenuta e dovendosi difendere da specifiche richieste di pagamento ognuna delle quali correlata da un particolare titolo, non poteva che impostare le proprie difese su ciascuno di quei titoli. Ne deriva il diritto del patrocinatore a vedersi riconosciuto il compenso in relazione al petitum complessivo.
Cassata l'impugnata decisione, parola al giudice del rinvio.
Cass., ordinanza 19588/2015