di Marina Crisafi - Proporre alla figlia di trascorrere i weekend di propria spettanza, insieme al nuovo partner e per di più presso la sua abitazione, può comportare per il genitore una violazione degli obblighi stabiliti al momento dell'affido condiviso. Lo ha stabilito la prima sezione civile del tribunale di Roma (con sentenza del 23 gennaio 2015, qui sotto allegata), condannando, in una vicenda di separazione giudiziale, un padre a versare un cospicuo risarcimento alla figlia minore per non aver adempiuto correttamente agli obblighi di visita fissati al momento dell'affido condiviso.
La condotta dell'uomo era stata caratterizzata, infatti, negli ultimi anni da una perdurante assenza, aggravata dall'essersi trasferito all'estero con la nuova compagna e, di ritorno in Italia, nel tentativo di riavvicinarsi alla figlia dall'essersi semplicemente limitato a proporle di trascorrere i fine settimana di sua spettanza presso l'abitazione della partner, dove lui stesso stabilmente risiedeva. Proposte, cui naturalmente, era seguito un secco rifiuto.
Per il tribunale capitolino, la condotta dell'uomo che "pure ha dato prova di sapere essere un genitore dotato di risorse affettive nei sia pur rari momenti in cui si è trovato in compagnia della figlia ridestando in lei il desiderio di un rapporto complice e dialogante" va inquadrata tra quelle sanzionabili ex art. 709-ter del codice civile. Lo stesso infatti "è rimasto sordo, nell'incapacità di scindere il proprio ruolo genitoriale e gli inevitabili sacrifici che ne conseguono dalle proprie relazioni sentimentali, alla silente ma chiarissima richiesta di attenzione e soprattutto di esclusività - proveniente dalla figlia - lasciando che quegli stessi incontri, rimasti senza seguito, si trasformassero agli occhi della ragazza in un'ennesima cocente delusione".
Per cui del rifiuto della figlia di incontrarlo nei fine settimana calendarizzati sempre e pervicacemente insieme all'attuale compagna, il padre "non può, in definitiva, che dare la colpa a se stesso".
Sulla scorta di tali rilievi, il tribunale, pur facendo cadere ogni richiesta di addebito da parte dell'ex moglie e regolamentando i tempi di permanenza della figlia presso il padre, in base ai desideri della stessa, ha comunque deciso d'ufficio di sanzionare la condotta dell'uomo, "al fine di una sostanziale coartazione all'adempimento dei doveri genitoriali, per il pregiudizio arrecato alla minore con la propria omissiva condotta nell'esercizio dell'affido condiviso".
Ha reputato perciò di applicare nel caso di specie il meccanismo sanzionatorio previsto dall'art. 709-ter c.p.c., "in ragione della funzione punitiva o comunque improntata, sotto forma di dissuasione indiretta, alla cessazione del protrarsi dell'inadempimento degli obblighi familiari che, attesa la loro natura personale, non sono di per sé coercibili né suscettibili di esecuzione diretta".
E la sanzione più consona - "tenuto conto che le omissioni paterne hanno avuto ricaduta diretta sulla minore vistasi di fatto privata dall'imprescindibile figura di riferimento paterna e che la mutilazione affettiva ha gettato in uno stato di palese sofferenza, che il rifiuto, quale ultima disperata richiesta di attenzione, inequivocabilmente palesa" - è per il collegio romano quella del risarcimento del danno nei confronti della figlia.
Risarcimento che, data la durata dell'inadempimento e delle condizioni economiche dell'obbligato, viene quantificato in 15mila euro, da versarsi su un libretto di deposito a risparmio intestato alla minore con vincolo giudiziale fino al compimento del 18° anno di età.
Tribunale Roma, sentenza 23.1.2015